Renzi, il continuatore dell’opera della Gelmini

renzi-gelmini-512x379“Ci sono uni­ver­sità di serie A e serie B, ridi­colo negarlo”. Il pre­si­dente del Con­si­glio Renzi al Poli­tec­nico di Torino ha pro­nun­ciato il discorso più bru­tale e ideo­lo­gico dall’epoca ber­lu­sco­niana a oggi. Il pro­gramma dell’università dei pros­simi anni: più povera, meri­to­cra­tica e baro­nale che mai.

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Sull’università Renzi e il Par­tito Demo­cra­tico sono la con­ti­nua­zione della riforma Gel­mini con gli stessi mezzi. Quello pro­nun­ciato all’inaugurazione dell’anno acca­de­mico del Poli­tec­nico di Torino sarà ricor­dato come il discorso più vio­lento e meno incline ad un senso comune costi­tu­zio­nale pro­nun­ciato dal tempo dell’ex mini­stro ber­lu­sco­niano nel 2008.

«Negare che vi siano diverse qua­lità nell’università è ridi­colo — ha detto Renzi — Ci sono uni­ver­sità di serie A e B nei fatti e rifiu­tare la logica del merito e la valu­ta­zione den­tro l’università e pen­sare che tutte pos­sano essere uguali è anti­de­mo­cra­tico, non solo antimeritocratico».

Nella sua bana­lità aggres­siva, que­sto discorso non dice nulla di nuovo. Gli ate­nei ita­liani ver­ranno divisi tra uni­ver­sità di ricerca e uni­ver­sità di didat­tica. La mag­gio­ranza degli ate­nei del Sud verrà squa­li­fi­cata, sem­pre che non ven­gano chiusi e accor­pati su base regio­nale o trans-regionale, avranno un’unica fun­zione: quella di ripro­durre le com­pe­tenze di un’economia neo-pastorale o dell’intrattenimento di massa per il turi­smo o degli asses­so­rati alla cul­tura spe­cia­liz­zati nella sagra del fungo car­don­cello o della pia­dina emiliana.

Il non senso democrazia=meritocrazia

Le argo­men­ta­zioni del pre­si­dente del Con­si­glio Pd sono chia­ra­mente ispi­rate (se non pro­prio scritte) dagli autori che hanno ali­men­tato l’imposizione del bino­mio con­ser­va­tore per eccel­lenza: la meri­to­cra­zia e la valu­ta­zione. Il loro prin­ci­pio ispi­ra­tore è un’idea della demo­cra­zia che pre­mia la pro­dut­ti­vità, l’eccellenza, e la fun­zio­na­lità degli ate­nei di élite, così come dei gruppi di ricerca, rispetto al “mer­cato glo­bale” della ricerca.

Demo­cra­zia è un con­cetto inter­pre­tato come un sino­nimo del suo oppo­sto: la meri­to­cra­zia. Demo­cra­zia signi­fica: potere del popolo (cioè dei tanti). Invece meri­to­cra­zia è il potere di chi vince (ha il merito) e si distin­gue rispetto ai tanti. Cioè prende un potere per sé e lo sot­trae agli altri. Renzi (o chi per lui) ignora com­ple­ta­mente que­sta distin­zione basi­lare e opera la con­sueta truffa con­cet­tuale ai danni della demo­cra­zia. La iden­ti­fica cioè esclu­si­va­mente con l’uguaglianza tra i tanti — cioè all’omogeneizzazione delle dif­fe­renze rispetto ad uno stan­dard defi­nito dalla tiran­nia della massa: il totalitarismo.

Al con­tra­rio, la meri­to­cra­zia avrebbe il ruolo di distin­guere i pochi meri­te­voli dai molti imme­ri­te­voli — ogget­ti­va­mente valu­tati da un dispo­si­tivo “scien­ti­fico” che in ultima istanza obbe­di­sce alle regole del libero mer­cato delle idee e dei capitali.

Un pro­getto neo-con

Esem­plare è que­sto pas­sag­gio del discorso torinese

«Ugua­glianza non può essere ugua­li­ta­ri­smo. L’uguaglianza mette tutti sullo stesso piano al punto di par­tenza, non di arrivo — ha soste­nuto Renzi – Ci sono uni­ver­sità capaci di com­pe­tere nel mondo e altre vali­dis­sime che hanno un’altra fun­zione. Non si può pen­sare che tutte e 90 le uni­ver­sità ita­liane stiano insieme nella com­pe­ti­zione globale»

Dopo avere sfi­gu­rato il signi­fi­cato del con­cetto di “demo­cra­zia”, ora tocca a quello di “ugua­glianza”. Renzi sostiene che l’uguaglianza è sino­nimo di ugua­li­ta­ri­smo. Que­sto è un tic pre­sente nella men­ta­lità con­ser­va­trice: non si nasce tutti uguali, gli indi­vi­dui sono diversi e incon­ci­lia­bili per natura. La com­pe­ti­zione pre­mia i sin­goli che non hanno nulla in comune con gli altri e com­bat­tono chi li vuole ridurre all’identità astratta dello Stato. Il moderno con­ser­va­tore che è Renzi ritiene la “com­pe­ti­zione glo­bale” come l’alleato con­tro que­sta idea dello Stato. Cioè con­trap­pone un tota­li­ta­ri­smo ad un altro. Il primo è incar­nato dalla “buro­cra­zia” (Ci serve un passo in più affin­ché le grandi uni­ver­sità non siano stri­to­late dai con­fini ammi­ni­stra­tivi”). Il secondo è quello, rite­nuto libe­ra­to­rio, del “mercato”.

La con­trap­po­si­zione emerge in que­sto passaggio:

«Ci serve un passo in più affin­ché le grandi uni­ver­sità non siano stri­to­late dai con­fini ammi­ni­stra­tivi. Lo dico a Ser­gio (Chiam­pa­rino, ndr): non si può gestire il Poli­tec­nico come gesti­sci un comune di 5mila per­sone. Una grande uni­ver­sità ha il com­pito di stare non sul mer­cato ma nello sce­na­rio internazionale».

Il sot­to­te­sto è chiaro: nelle uni­ver­sità, come nello Stato, ser­vono mana­ger com­pe­tenti, capaci di gestire un’impresa sul mer­cato. E’ la posi­zione neo­li­be­ri­sta clas­sica: il prin­ci­pio manageriale-gestionale non solo viene con­trap­po­sto a quello rappresentativo-politico, ma lo si elegge a cri­te­rio di gestione dello Stato. Que­sto accade per­ché nella figura mito­lo­gica del “mana­ger” viene iden­ti­fi­cato il prin­ci­pio astratto dell’efficienza. Se non va bene, lo si cam­bia. E’ il Cda o i pro­prie­tari dell’azienda a deci­dere. Come un ter­zino nel cam­pio­nato di calcio.

In realtà, l’invocazione della meri­to­cra­zia è il sino­nimo della ridu­zione a numero della poli­tica e della demo­cra­zia a ren­di­mento sim­bo­lico di un pri­mato fan­ta­sma­tico. Un pri­mato che sarà a bene­fi­cio dei pochi. O meglio di una società in cui sono i mana­ger a deci­dere sulla base del loro rap­porto pri­vato con i numeri. Numeri che capi­ranno solo loro, visto che le com­pe­tenze per inter­pre­tarli non ver­ranno dif­fuse tra le masse.

La pro­pa­ganda dello “Stato valutativo”

Il pri­mato che Renzi pre­sume avere tro­vato in natura, o nella per­sona di un mana­ger uni­ver­si­ta­rio glo­bale, è in realtà da lui stesso attri­buito al sistema della valu­ta­zione dell’Anvur che governa la com­pe­ti­zione tra gli ate­nei sulla quota pre­miale dei fondi ad essi desti­nati annual­mente. Il suo discorso va dun­que inter­pre­tato come una legit­ti­ma­zione — come se ce ne fosse biso­gno — di que­sto dispositivo.

Renzi è un pro­pa­gan­di­sta dello “stato valu­ta­tivo” e dei suoi mec­ca­ni­smi fin­ta­mente ogget­tivi. Ad essi affida il destino degli ate­nei che devono pri­meg­giare nell’economia cogni­tiva glo­bale. Ciò che il pre­si­dente del Con­si­glio sem­bra igno­rare è che pro­prio la riforma valu­ta­tiva dell’università ha tra­sfor­mato gli ate­nei, e il mondo della ricerca, in spa­ven­tose buro­cra­zie tec­no­cra­ti­che e baro­nali. Cioè nell’incubo da cui la riforma Gel­mini ieri, e oggi Renzi, inten­dono “libe­rare” le aule universitarie.

La nuova reli­gione di Stato

L’autoritarismo di Renzi non è diverso da quello della riforma Gel­mini e dei suoi più che noti, ormai tri­ste­mente cele­bri, soste­ni­tori: da Roger Abra­ma­vel a Gia­vazzi, Ale­sina e Perotti o Andrea Ichino. E tutta la banda di ordi­nari che già al tempo del ber­lu­sco­ni­smo hanno legit­ti­mato agli occhi dei ceti domi­nanti e diri­genti il discorso a-democratico della meri­to­cra­zia. Si tratta di un auto­ri­ta­ri­smo fon­dato su una “scienza regale”, cioè sot­to­messa a valori e orga­niz­za­zioni impo­sti dall’alto (cioè dallo stato o dal mer­cato) secondo canoni e prin­cipi “scien­ti­fici” indi­pen­denti dalla realtà esi­stente. O meglio: modella tale realtà secondo i prin­cipi pre­sta­bi­liti dall’alto. Sta qui la sostanza a-democratica, eli­ti­sta, e con­ser­va­trice, della meritocrazia.

In que­sta “scienza della valu­ta­zione” si rea­lizza la nuova con­fi­gu­ra­zione tota­li­ta­ria dello stato e il potere del con­trollo poli­zie­sco su chi (ate­nei, ricer­ca­tori, per­so­nale o stu­denti) deve essere “per­for­ma­tivo” e “ade­guato” ai cri­teri che indi­cano l’efficienza e la “com­pe­ti­ti­vità” di un sistema. Su que­sta base, enti locali, uni­ver­sità, sem­plici cit­ta­dini ven­gono pro­iet­tati nella “libera” con­cor­renza globale.

La nuova reli­gione di Stato è: qua­lità, effi­cienza e impresa. Non diver­sa­mente da quanto già fatto negli ultimi vent’anni, e in maniera sem­pre più vicina ai discorsi fatti dai vari Bru­netta, Sac­coni o Gel­mini (alleati o ex alleati del Pd), Renzi applica que­sto discorso alla scuola e a tutte le sfere delle poli­ti­che pub­bli­che, della sicu­rezza sociale, dell’assistenza sani­ta­ria, della pre­vi­denza, delle poli­ti­che fiscali o del lavoro.

Il cuore di que­sto pro­getto neo­li­be­rale resta l’istruzione:

«Scuola, uni­ver­sità e ricerca pos­sono costi­tuire la carta vin­cente per il nostro Paese per uscire non dalla crisi eco­no­mica — sostiene Renzi — ma da anni di ras­se­gna­zione, stan­chezza, sguardo rivolto a terra senza una minima pro­get­ta­zione del futuro».

E’ una fan­do­nia: il pro­blema dell’Italia sarebbe quello del “pia­gni­steo” e non della crisi dovuta a poli­ti­che fiscali, eco­no­mi­che e sociali che pro­du­cono dise­gua­glianze e hanno peg­gio­rato una situa­zione già dram­ma­ti­ca­mente com­pro­messa dalla cor­ru­zione, dalla dein­du­tria­liz­za­zione, dalle poli­ti­che del pre­ca­riato e dei red­diti, oltre che dei tagli dram­ma­tici a scuola e uni­ver­sità voluti da Ber­lu­sconi e Tremonti.

Un pro­vin­cia­li­smo filo-tedesco

Senza con­tare l’obiettivo fan­ta­sma­tico che que­sta impo­sta­zione appa­ren­te­mente “nuova” offre al paese:

“Siamo secondi alla Ger­ma­nia, ma li riprenderemo”

E’ il sin­tomo del pro­vin­cia­li­smo della classe diri­gente ita­liana. Come del resto di quella euro­pea. Ripro­durre, anche nella forma del governo, ma soprat­tutto nelle deva­stanti poli­ti­che sociali, lavo­ra­tive e sco­la­sti­che Mer­ke­lan­dia. E tutto que­sto basan­dosi su un’immagine ine­si­stente della Ger­ma­nia, dovuta all’ignoranza della sua situa­zione reale. Il falso, il mirag­gio, la siste­ma­tica disin­for­ma­zione e can­cel­la­zione della realtà sono le cifre della poli­tica ren­ziana che, in que­sta espres­sione, rivela la men­ta­lità dei domi­nanti oggi.

Ha ini­ziato Monti (Tre­monti e Ber­lu­sconi erano anti­pa­tiz­zanti della Ger­ma­nia). Renzi ne con­ti­nua l’opera, insi­stendo sul suo pro­vin­cia­li­smo. Chi ha una minima cono­scenza del sistema di istru­zione tede­sco, senza con­tare quella sulle sue poli­ti­che dell’impiego che hanno creato 9 milioni di lavori semi-schiavistici (i mini-job) dovrebbe rab­bri­vi­dire davanti a que­sto depri­mente obiet­tivo annun­ciato dal pre­si­dente del Consiglio.

L’outlet ideo­lo­gico della “Buona Scuola“
Ma se voles­simo pren­dere sul serio l’outlet ideo­lo­gico di Renzi, allora quale bilan­cio trarre dal suo inquie­tante discorso tori­nese, in vista della riforma della scuola e quella dell’università — pre­an­nun­ciata dal suo dio­scuro all’Istruzione, il sotto-segretario Davide Faraone — anch’egli del Pd?

Come si evince ampia­mente da quel libretto da como­dino della “Buona Scuola”, quello di Renzi è un pro­getto ambi­zioso di adde­stra­mento di un’intera società attra­verso l’impiego per­va­sivo dell’arte della valu­ta­zione eco­no­me­trica e del giu­di­zio mora­li­stico degli indi­vi­dui. Il tutto basato sulla misu­ra­zione dei meriti, che diven­tano qua­lità per­so­nali dell’individuo cer­ti­fi­cati e appro­vati dallo Stato e dalla sua poli­zia del pen­siero, oltre che dalla poli­tica dei red­diti dif­fe­ren­ziata in base alla par­te­ci­pa­zione al suo pro­getto sociale.  Que­sta pro­spet­tiva dif­fonde l’ingenua, quanto pos­sente e tota­liz­zante, cre­denza secondo la quale l’umanità possa essere gover­nata da numeri e quan­tità sta­bi­liti dall’aritmetica poli­tica della valu­ta­zione deterministica.

Per ren­dere “com­pe­ti­tiva” l’università Renzi ricor­rerà alle tec­no­lo­gie del con­trollo e della sor­ve­glianza già adot­tate dalla riforma Gel­mini. Su que­sto il suo sforzo sarà minimo. Basta con­ti­nuare ad appli­care la strut­tura della gover­nance euro­pea che gesti­sce la ricerca, imple­men­tare la valu­ta­zione della ricerca e poten­ziare l’apparentemente incon­te­sta­bile ridu­zione a sta­ti­stica della poli­tica. L’esercizio della demo­cra­zia diventa il culto dei numeri, men­tre invece è l’espressione di un infi­nito innu­me­ra­bile che deve cer­care di gover­nare con il potere dei molti (il popolo, appunto). Nella visione di Renzi, invece, l’università è il luogo di culto, e di for­ma­zione, di tale eser­ci­zio anti­de­mo­cra­tico. Tra quelle mura il potere è dei pochi che la gover­nano. Vin­co­larlo al rito miste­rico delle clas­si­fi­che, da cui dipen­dono i pochi soldi a sua dispo­si­zione, signi­fica solo una cosa: con­se­gnare il futuro di que­sta situa­zione alla discre­zione del potere baronale.

Su que­sto mai nes­suno in Ita­lia ha nutrito il minimo dubbio.

ROBERTO CICCARELLI

da il manifesto

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