Che i Parlamenti possano ancora costituire un intralcio materiale rispetto al volere e al potere delle multinazionali e delle grandi lobby del commercio – purtroppo – fa notizia. E la notizia c’è, ed è duplice: lo scorso 10 giugno il Parlamento europeo ha rinviato il voto sul TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership, il trattato di commercio tra UE e USA) e due giorni dopo il Congresso americano ha bocciato il fast track per il TPP (Trans Pacific Partnership). Il colpo battuto dalla democrazia rappresentativa è per molti versi dovuto alla partecipazione diretta delle cittadine e dei cittadini, di reti e movimenti che da mesi si mobilitano su questi temi. La posta in gioco è altissima: in una parola, la democrazia. Perché dietro queste sigle (TTIP, TPP, ma anche CETA e TISA) non si nascondono soltanto accordi bilaterali di libero scambio negoziati in segretezza senza un chiaro mandato popolare, ma un ulteriore processo globale di deregolamentazione, di abbattimento di quelle “barriere non tariffarie” che, uscendo dal lessico neoliberista, potremmo chiamare “diritti”. Giustamente i movimenti definiscono il TTIP un cavallo di Troia delle multinazionali, uno strumento per renderle ancora più influenti nel processo legislativo. Non a caso a far saltare la discussione a Strasburgo è stato il mancato accordo sulla cosiddetta clausola ISDS, che istituirebbe la possibilità di rivolgersi a una corte arbitrale privata per dirimere le controversie derivanti dall’applicazione del trattato. In altre parole, consentirebbe a una multinazionale che considera lesi i suoi investimenti – ad esempio, dall’innalzamento degli standard normativi relativi alla salute alimentare – di fare causa a uno Stato. Si sancirebbe così il primato del diritto degli investitori sulla sovranità popolare.
Su questo nodo, le larghe intese (tra Socialisti, Popolari, e Liberali) che costituiscono la maggioranza al Parlamento europeo rischiavano di saltare. Va così in onda uno spettacolo grottesco, i cui attori principali sono tutti Socialisti: la Commissione commercio estero aveva peggiorato con un voto a maggioranza la relazione del Presidente Lange (S&D), accogliendo all’ultimo momento una formula di compromesso proposta dalla Commissaria Cecilia Malström proprio sul tema dell’ISDS; il testo che arriva in plenaria diventa oggetto di numerosi emendamenti (il gruppo Gue /NGL ne presenta più di 60, tra questi, uno di cui sono prima firmataria, che chiede la sospensione delle negoziazioni); il Presidente Schulz decide allora (trasformandosi da arbitro in giocatore) di rinviare il voto e di rimandare il testo in Commissione e Gianni Pittella, in un “memorabile” intervento, argomenta la “non posizione” del suo gruppo sul rinvio anche del dibattito, che passa per una manciata di voti. La partita dunque torna in commissione.
Se le modalità con cui il rinvio è avvenuto costituiscono una pessima pagina per il Parlamento europeo (se non c’è accordo nella grande coalizione, non si vota), il dato politico rilevante è l’efficacia della pressione della mobilitazione dei network che hanno chiarito che in pericolo sono non solo democrazia, ma anche il lavoro e la salute. Studi come quello di Jeronim Capaldo hanno dimostrato che il TTIP provocherebbe una perdita di circa 60000 posti di lavoro e un ulteriore spostamento del reddito dal lavoro al profitto in UE. E, ancora, il principio di precauzione che connota la produzione normativa europea di fatto salterebbe, con rischi per la salute delle persone. E’, dunque, della massima importanza nelle prossime settimane lavorare alla campagna STOP_TTIP, una battaglia che può connettere e unire le tante lotte per un’Europa che non sia fondata sul neoliberismo e sull’austerità, ma sulla democrazia e sui diritti (lavoro, salute, ambiente) A noi, piace chiamarla la lotta per un’Altra Europa possibile.
ELEONORA FORENZA
Europarlamentare de L’Altra Europa con Tsipras