Il 20 giugno, il giorno successivo al terzo anniversario della nascita dell’autogoverno del Rojava, un attentato dell’Isis ha scosso la città di Suruç, nel Kurdistan turco, colpendo il Centro Culturale Amara.
32 i morti, più di 100 i feriti. Al Centro Amara erano riuniti i compagni e le compagne della Federazione delle Associazioni della Gioventù Socialista, recatisi a Suruç per provare a sconfinare in Siria ed andare a Kobanê, dove intendevano portare materiali per la ricostruzione, giocattoli per allestire un centro per l’infanzia e un parco giochi, libri per una biblioteca, documentari da proiettare.
Avevano atteso al Centro Amara le autorizzazioni del governo turco per passare il confine: è arrivato, invece, un diniego e stavano tenendo una conferenza stampa per denunciare l’impossibilità di portare aiuti a Kobanê, quando un attentatore suicida si è fatto saltare in aria.
Sarebbe potuto succedere anche a noi quando, partecipando lo scorso marzo con una nostra delegazione alla missione di osservatori internazionali per il Newroz, siamo stati accolti da quella stessa città, da quello stesso Centro Amara, come tutti coloro i quali hanno tentato di portare il loro aiuto e la loro solidarietà a Kobanê. Sarebbe potuto succedere a tante altre delegazioni. Ciò che è successo è la diretta conseguenza dell’assenza di un corridoio umanitario per Kobanê e delle procedure con cui il governo turco blocca il passaggio di aiuti umanitari e volontari, oltretutto usando la scusa della sicurezza che evidentemente non può o non vuole garantire.
Il confine tra Turchia e Siria, invece, è sempre aperto per i miliziani dell’Isis: dai varchi turchi sono entrati nel Rojava i foreign fighters, le autobombe, le armi, i finanziamenti, dai villaggi di confine è stata bombardata Kobanê. Da quegli stessi varchi passavano in Turchia i terroristi islamisti feriti per essere curati negli ospedali, mentre alle loro vittime veniva negato il soccorso. I miliziani hanno percorso un centinaio di chilometri in Turchia quando da Jarabulus hanno tentato, per fortuna uscendo sconfitti, di mandare rinforzi a Tel Abyad (Girê Spî). Dai quei varchi, infine, sono entrati in Turchia gli attentatori che hanno insanguinato negli ultimi mesi il Kurdistan turco, come quello che ha colpito il comizio dell’HDP il 5 giugno a Diyarbakır (Amed).
Nonostante le forze dell’ordine fossero state informate dai servizi segreti del rischio di un imminente attentato, non hanno provveduto a garantire la sicurezza, preferendo dedicarsi a retate di facciata che evidentemente non hanno colpito chi stava preparando l’attacco. Al posto di blocco sono state fermate le vittime, a cui sono stati requisiti oggetti innocui come computer e macchine fotografiche, ma non il terrorista e la sua complice. Il Centro Amara, inoltre, è a pochi passi da una delle innumerevoli caserme che costellano il Kurdistan turco con la loro presenza incombente, la presenza della repressione sistematica.
L’attentato a Suruç rappresenta un attacco a tutto campo alla solidarietà: a quella data dalla città stessa e dalla municipalità curda, a quella internazionale, a quella che anima il progetto politico dell’HDP.
Suruç, la città del melograno, città sorella di Kobanê perché un tempo, prima che le frontiere dividessero in quattro stati un popolo di 40 milioni di persone, erano una cosa sola, ha sopportato il peso enorme dell’emergenza umanitaria data dalla guerra portata dall’Isis dall’altra parte del confine. La municipalità, ostacolata dal governo turco, e le famiglie hanno accolto decine di migliaia di profughi e lottano strenuamente per l’apertura del corridoio umanitario. La sua solidarietà resterà nella storia.
È evidente anche il tentativo di intimidire coloro i quali da tutto il mondo sono partiti in missione umanitaria per aiutare Kobanê: il Centro Amara era il loro porto sicuro, il loro punto di riferimento. Ricordiamo che dal 12 settembre partirà dall’Italia un’altra missione finalizzata a fare pressione per l’apertura di un corridoio umanitario.
La solidarietà, inoltre, è il segno distintivo che unisce i compagni e le compagne dell’HDP: la Federazione delle Associazioni della Gioventù Socialista è l’organizzazione giovanile del Partito Socialista degli Oppressi, una delle anime dell’HDP, che ha congiunto non solo le forze politiche della sinistra turca e del movimento curdo (lo slogan della delegazione colpita era: “I valori di Kobanê sono i valori della resistenza di Gezi”), ma mette al centro la costruzione di una società solidale in cui i turchi, i curdi, le minoranze etniche e sub-etniche (molte delle vittime avevano origini alevite) possano vivere in pace e contribuire alla realizzazione di una democrazia radicale, nello spirito del confederalismo democratico. Le proteste per l’attentato hanno coinvolto tanto le città del Kurdistan turco quanto Istanbul, unite nel lutto, e sono state represse dalle feste dell’ordine come d’abitudine.
A questo attentato si può e si deve rispondere riaffermando quei valori di solidarietà che tanto spaventano il fascismo islamista dell’Isis e l’autoritarismo della Turchia. Il Partito della Rifondazione Comunista e i/le Giovani Comunisti/e esprimono il loro cordoglio ai compagni e alle compagne della Federazione delle Associazioni della Gioventù Socialista, dell’HDP e alla città di Suruç.
Riteniamo infatti indispensabile che venga fatta luce su quello che è avvenuto e che si individuino le responsabilità dirette e indirette delle istituzioni turche rispetto al massacro.
Ci uniamo alle rivendicazioni dei compagni e delle compagne turchi e curdi chiedendo l’apertura del corridoio umanitario e condannando con forza l’evidente connivenza tra governo turco e Isis.
Persino la stretta contro l’Isis, tanto sbandierata dai media governativi, ha colpito in realtà i compagni della sinistra curda e turca e i bombardamenti di queste ore da parte dell’aviazione hanno il sapore dell’inizio di un intervento nella guerra civile siriana, volto pià a evitare la liberazione completa e la riunificazione del Rojava per mano curda che a colpire il terrorismo islamista: appena un mese fa il governo turco ha definito il PYD, il partito del Kurdistan siriano che guida la resistenza attraverso le sue unità di difesa YPG/YPJ, “più pericoloso dell’Isis”, mentre è il partito che sta difendendo la sua terra dagli orrori e i massacri nel nome del valore universale della libertà.
Riteniamo che il processo di pacificazione in Turchia debba continuare e che veda legittimamente il campo tutti gli attori capaci di portarlo a termine: per questo chiediamo a gran voce la liberazione del compagno Abdullah Öcalan e la cancellazione dalle liste antiterrorismo del PKK. Supportiamo pienamente il progetto politico dell’HDP e la necessità di pace che esso esprime, augurandoci che termini presto la repressione del popolo curdo da parte di uno stato che vuole assimilarlo e consente che venga massacrato. Il successo dell’HDP farà vivere ancora e per sempre le vittime dell’attentato di Suruç.
Şehit namırın! I martiri non muoiono mai!
SILVIA CONCA
Partito della Rifondazione Comunista – Giovani Comunisti/e
24 LUGLIO 2015