Abbiamo chiesto al compagno Citto Maselli un ricordo di Pietro Ingrao. Lo ringraziamo per la bella testimonianza umana e politica
Nel primo dopoguerra e tutti gli anni cinquanta la redazione dell’Unità era in pieno centro a pochi passi da piazza Venezia.
Così mi veniva quasi naturale passare da lì a salutare i compagni con cui avevo fatto la Resistenza al liceo Tasso, durante i nove mesi di occupazione tedesca. Erano Luigi Pintor e Arminio e Aggeo Savioli, diventati poi giornalisti e redattori dell’Unità. Ingrao allora ne era il direttore e quando loro mi presentarono notai che mi guardava con interesse e curiosità. Poiché in quei giorni era uscito un film a episodi che si chiamava “Amore in città” e conteneva il mio debutto alla regia con “Storia di Caterina” da un’idea di Cesare Zavattini, io ritenni che sicuramente l’interesse di Ingrao significava che aveva visto il film e gli era piaciuto. Ne fui così felice che girai per giorni tutto impettito, come un pinguino. Amara fu dunque la sorpresa quando Pintor mi raccontò giorni dopo che Ingrao non aveva affatto visto il film ed era solo curioso per la mia giovanissima età: aveva evidentemente letto il mio nome in qualche critica e dato che effettivamente non avevo ancora vent’anni era solo stupito che fossi già regista.
Non rividi più Ingrao fino all’autunno del ’56 quando scoppiò la rivolta in Ungheria e ci si trovava in tanti al nostro giornale per avere notizie. Ricordo che io litigai subito con Mario Alicata che difendeva a spada tratta Gheroe e i compagni ungheresi e l’atmosfera era tale che eravamo passati alle urla e alle accuse reciproche finché la porta della stanza in cui eravamo si aprì e apparve Ingrao. Era accigliato ma soprattutto aveva le lacrime agli occhi e piangeva. Tacemmo tutti di colpo esterrefatti e lui se ne andò. Mesi dopo o anni eravamo diventati quasi amici e ricordo che una volta gli domandai se ricordasse quella sera e quel suo inaspettato pianto. Mi rispose che ricordava benissimo quell’episodio e quanto al suo pianto ricordo che mi disse: “a Budapest la gente sparava sui nostri compagni, nella stanza accanto due compagni si insultavano a urli”. Tacque e poi aggiunse: ”Dico, non c’era da piangere?”.
Nel ’68 ero segretario dell’Anac (l’associazione storica degli autori cinematografici) e, convinto del significato positivo della carica polemica e del radicalismo degli studenti, lavorai per portare gli autori a contestare un festival con lo statuto fascista com’era quello veneziano, canalizzando però quella carica rivoltosa verso uno sbocco politico e riformatore e dunque verso una nuova legge e un nuovo statuto della Biennale. Non ricordo esattamente ma io vedevo in questa mia operazione l’applicazione concreta di quello che Pietro Ingrao definiva l’intreccio fra i movimenti e il partito, cioè il loro sbocco politico. Il discorso di Ingrao era sicuramente più complesso ma a me allora sembrava tale. Per cui ricordo che partendo per Venezia per preparare la contestazione in accordo con Golinelli segretario della federazione veneziana del Pci, mi recai a Lenola, vicino Roma, dov’era la casa natale di Ingrao e dove lui andava spesso. Ricordo che lui ascoltò la mia fervida esposizione con attenzione ma senza scaldarsi troppo. Ricordo che mi suggerì di chiedere al critico dell’Unità Ugo Casiraghi di scrivere degli articoli “posati” – questa fu la parola – sulle legittime ragioni di quella contestazione (da qui vennero cinque articoli dal titolo impegnativo “Perché contestiamo Venezia”).
Niente di più e così me ne tornai a Roma non proprio deluso ma certo frastornato. Le cose poi andarono bene: ottenemmo una legge nuova e uno statuto nuovo di quella grande istituzione culturale pubblica e malgrado le ricostruzioni qualunquistiche e negative che si fanno oggi, fu parte di quella grande stagione riformatrice che portò ai decreti delegati per la scuola, allo statuto dei lavoratori, alla legge sul divorzio, alla grande riforma della Rai sottratta finalmente al dominio governativo. Quando qualche storico indagherà seriamente su quel periodo, non potrà non individuare all’origine di tutta quell’imponente fase di sviluppo politico, sociale e culturale le intuizioni profonde e il pensiero di Pietro Ingrao.
Questo mi veniva in mente ieri sera ricordando quel mio viaggio a Lenola dove non ricevetti abbracci solidali e gli sperati applausi di Pietro ma solo la sua attenzione. Ingrao era fatto anche così.
CITTO MASELLI
da rifondazione.it