Non mi sono approcciato con grande entusiasmo al testo della conferenza che pure ho infine firmato e, ancora con minor partecipazione ho letto i vari emendamenti proposti che invece non ho sottoscritto. Voglio però evitare per quanto possibile di inserirmi nel solco di una tradizione scettica che ben è testimoniata nella nostra organizzazione, al contrario cercherò di cogliere un punto di interesse e svolgerlo brevemente affinché questo intervento possa essere qualcosa di più utile e meno seccante di un presuntuoso “j’accuse” che non ho né l’autorità, né la coscienza per poter rivolgere.
Spero che il mio tono che uso non sia percepito come di accusa o di rimprovero, i limiti o difetti che sottolineo si riferiscono in primo luogo a me stesso.
Il cuore del mio intervento consiste nell’opinione probabilmente personale che una serie di difficoltà che possiamo tutti riscontrare nella vita della nostra “giovanile” nascano dalla mancanza di un accordo sul valore da attribuire effettivamente al concetto di “autonomia” sancito dallo statuto del partito.
Ogni intervento che proponga una reintepretazione di un concetto a noi, che pretendiamo una non totale ingenuità politica, non potrà che apparire orientato verso una finalità. Non lo nego e pertanto, siccome appartengo alla parte di lettori che quando si approccia a un testo esige chiarezza e, possibilmente, conclusioni piuttosto che mistero e nubi, metto subito in chiaro in vista di quale fine mi sia approcciato a riflettere su questo concetto.
Prendendo spunto dalla debolezza non solo e non tanto numerica quanto di produzione di idee e proposte della nostra giovanile, mi sono interrogato su quale contributo essa stesse realmente offrendo al Partito della Rifondazione Comunista.
Anche qui devo fare chiarezza, io, concepisco il mio stato di Giovane Comunista (forse a causa dei miei 28 anni che inducono a usare con somma parsimonia i riferimenti a un’età che biologicamente va a concludersi) come parte di un insieme più grande che è il Partito della Rifondazione Comunista. La cosa pare banale, ma va forse rimarcata in un momento dove il più vasto concetto di “comunista” è stato posto come problematico o persino divisivo all’interno del partito.
In effetti i due concetti non si sovrappongono, in quanto essere in Rifondazione non vuol dire semplicemente essere “comunista”, bensì significa riconoscere una appartenenza a una ben specifica organizzazione comunista – ne esistono anche altre – e decidere di declinare il proprio impegno politico all’interno dei suoi organismi. Non andrò oltre, il pluralismo proprio di questo partito permette la coesistenza di pratiche, esperienze, riflessioni e interpretazioni che possono essere racchiuse in qual macro termine di “comunista” diverse tra loro, nella speranza di una capacità dialettica interna.
Ritornando alla domanda che mi sono posto, ovvero quale contributo la giovanile offra al partito, apparirà chiaro a tutti che essa ha senso solo alla luce di queste ultime riflessioni. Ora mi pare che l’apporto sia stato piuttosto scarso, specie negli ultimi anni.
Ritengo che le esperienze con cui si sono confrontati i giovani presenti in questa organizzazione non si siano adeguatamente trasformate in pratiche, proposte e analisi che abbiano arricchito il quadro d’insieme del partito. Non è mia intenzione soffermarmi sulle mancanza proprie anche all’interno del quadro stesso del partito in quanto sono solito pensare di essere parte delle cause della sua debolezza e non una sua vittima. E tale pensiero lo coltivo anche per quanto riguarda la giovanile. Pertanto invece di perdere tempo nel lamentare cosa ritengo non sia conforme al giusto funzionamento di una giovanile procederò con il mostrare le conclusioni a cui sono giunto nel mio ragionamento.
Mi è sembrato, anche leggendo il documento e, soprattutto, i suoi emendamenti, che molte delle difficoltà di compiere un’analisi che possa portare a indicare un agire coerente e efficace della nostra giovanile nascano da un arrovellamento eccessivo su alcune singole questioni affrontate volutamente in modo non obiettivo ma parziale e tendenzioso, solo al fine di marcare una serie di divisioni.
Ho usato la parola “divisioni” in senso negativo e non la parola ben più usata nel lessico interno al partito di “corrente” in quanto a questo secondo termine attribuisco invece un valore neutro. Nonostante non abbia mai fatto organicamente parte di una “corrente”, ritengo la loro esistenza naturale e segno di una vita democratica attiva, al contrario esse diventano “divisioni” quando impediscono una corretta attività e lavoro tra tutti i compagni, quando inficiano lo svolgimento dei compiti assegnati.
Le tensioni interne al documento si esplicano negli stessi emendamenti che si concentrano su alcune questioni certamente capitali per comprendere la realtà in cui ci troviamo ad agire ma lo fanno, a mio modo di vedere, in maniera “divisiva” e non “costruttiva”.
La questione greca è assai interessante: mostra le difficoltà e, certamente, anche le mancanze dell’attuale livello di elaborazione e proposta della sinistra di fronte alla difficile situazione di governare un paese durante la crisi, e di offrire risposte che producano un avanzamento nel costruire una società non capitalista che tenda a redistribuire non solo la ricchezza ma anche l’accesso ai mezzi di produzione e la partecipazione alle decisioni. Tale situazione dovrebbe suscitare tra di noi una attenta analisi che, partendo dallo studio della situazione economico-sociale della Grecia e delle proposte portate dagli schieramenti di sinistra in tale paese, cerchi di cogliere dove si situano le nostre mancanze, cosa non funzioni nel quadro che avevamo disegnato e in che modo vi si possa porre rimedio. Invece la risposta mi pare essere quella del tifo esasperato che si traduce, per molti, semplicemente nell’adesione immediata a una nuova formazione politica greca.
Lo stesso si può dire della questione monetaria. Proprio per la mia mancanza di formazione economica gradirei fortemente che chi in questa giovanile si interroga costantemente e con attenzione su questo tema, offrendone risposte diverse, riporti al centro della discussione, ancora prima che l’univoca soluzione (fuori dall’euro, dentro l’euro), i dati che ha raccolto, le previsioni che è stato in grado di fare o che vari studiosi hanno fatto. Inoltre gradirei che si utilizzassero più studiosi, di indirizzo progressista che si servono delle categoria marxiane, con posizioni differenti. Proprio in quanto “laico” sulla questione non posso apprezzare che mi si indichi la necessità di abbandonare l’euro, e quindi prendere una decisione di notevole portata, in poche righe con giustificazioni che pertengono maggiormanete all’ordine “morale” che a quello “etico” (e lo dico perché la questione è economica innanzitutto e non per rispolverare la formulina della divisione tra struttura e sovrastruttura da manualetto del bravo compagno).
Ma per quale motivo nella giovanile c’è un clima di questo tipo che porta a preferire la rapida presa di posizione finalizzata alla divisione, piuttosto che l’analisi direzionata alla sintesi?
La risposta mi pare che risieda proprio nel concetto di “autonomia” del partito. Alla “autonomia” di riflessione e azione della giovanile si è accompagnato una sua struttura ricalcata su quella del partito, fino al punto da poter apparire un partito nel partito. Ciò ovviamente ha avuto il naturale effetto di trasferire le divisioni proprie al partito (parlo di nuovo di divisioni non di correnti) all’interno della giovanile, dando vita a un sistema perverso per cui la giovanile è apparsa un’occasione di rivincita per le “minoranze” o di “riaffermazione” per la maggioranza. Così la vita interna della giovanile è divenuta un’inopportuna discussione sulle scelte della segreteria.
Quando dico “inopportuna”, non intendo affermarne l’inutilità, piuttosto l’inadeguatezza in riferimento al contesto. Ovvero ogni militante ha il diritto e dovere di farsi un’opinione riguardo la linea espressa dal suo partito: lo fa in quanto tesserato di PRC all’interno degli organismi di PRC. In primo luogo durante il congresso ma, in seguito, anche negli attivi di circolo, nei comitati politici federali, regionali e in quello nazionale: in tali circostanze la discussione della linea politica è uno dei temi pienamente meritevoli di discussione. Ovvero per interrogarsi e intervenire su questo tema ci sono gli organismi del partito a cui noi G.C. partecipiamo pienamente.
Ma se queste discussioni le trasferiamo anche nel dibattito interno della giovanile giungiamo a un cortocircuito per cui la giovanile, come un ruminante, rimugina sempre la solita discussione del partito, senza svincolarsi da essa e finendo per avvilire quella che dovrebbe essere l’autonomia. Autonomia vorrebbe quindi dire fare e dire le stesse cose al massimo con minoranze o maggioranze ribaltate? Credo proprio di no.
Credo che tale concetto debba indicare l’autonomia nell’elaborazione e nell’organizzazione dell’azione, nel rispetto delle decisioni prese da PRC (come dovrebbe essere naturale in un partito comunista), in riferimento a quelle aree tematiche dove i giovani si trovano a interagire in maniera più forte rispetto ai compagni più anziani, quali scuola, università, precariato e disoccupazione giovanile, formazione interna e rapporto con le altre giovanili europee e mondiali.
Se il documento e gli emendamenti avessero avuto questi temi come questioni centrali della discussione sono convinto si sarebbe potuto produrre un risultato migliore.
Chiudo con due osservazioni. La prima è di rammarico, perché ho fatto l’opposto di quanto predicato. Non ho parlato di scuola, università, precariato ma di questioni puramente interne. Per rifarmi propongo insieme a questo intervento di pubblicare il bel lavoro fatto da tutti i compagni di Pisa sulle scuole, dove l’apporto degli studenti medi e universitari della nostra giovanile iscritti a diverse realtà della rappresentanza studentesca ha avuto un effetto stimolante del tutto privo di volontà divisive.
In secondo luogo do un consiglio molto modesto. Sarà che non amo le cassette degli attrezzi, o il marxismo in pillole (forse perché la complessità del reale, così come della storia delle tradizioni marxiste difficilmente si lascia ridurre in formule a costo di divenire catechismo e quindi non più strumento di interpretazione del reale volto all’azione ma confortevole rappresentazione da sostituire al mondo) ma mi sembrerebbe una bella pratica se i nostri militanti più giovani invece di essere invitati solo a consultare dispense o compendi di diversa natura, fossero invogliati anche a leggere bei romanzi. Citerò uno dei più noti da cui mi pare di aver imparato qualcosa: il Barone Rampante (che la prima volta mi fu letto quando neppure sapevo scrivere) mi ha da tempo convinto che per agire meglio e con un raggio di azione più ampio sia utile ogni tanto salire qualche centimetro più su: ovvero soffermarci a osservare con la dovuta calma i dati e interpretarli senza anteporre la scelta alla discussione potrebbe liberarci da quel clima da tifoseria che mal si s’addice alla vita di un’organizzazione comunista.
STEFANO ACERBO
14 ottobre 2015