Vorrei poter dire che c’è tempo per discutere con calma sul da farsi, ma sarebbe una menzogna spudorata. La situazione dei Giovani Comunisti è di crisi aggravata. Questo è un dato evidente a tutti, e che non dobbiamo nasconderci. Così come è evidente che la crisi dell’organizzazione è dovuta in parte alle sue mancanze interne (con tanti di scissioni sciagurate, linee politiche deficitarie e dirigenze non all’altezza) in parte al declino strutturale del PRC, sempre meno presente sul tessuto territoriale nazionale. Pensare di poter uscire da questa situazione senza una profonda riflessione ed un serio cambio di linea è pura fantasia. Ma per fare questo, lo ripeto, i tempi sono inadeguati.
Troppo tempo è stato perso per giungere ad una Conferenza che arriva in ritardo di anni. Eppure le tempistiche finali sono stati accelerate in maniera inaudita, senza che questo consentisse una sintesi politica su alcuni nodi che sono fondamentali per un’organizzazione politica, e che non si può proprio non risolvere: alludo soprattutto alle questioni dell’Europa e dei rapporti con le altre forze politiche. Al termine del Preambolo del Documento Nazionale si confessa candidamente l’incapacità di giungere ad una posizione condivisa su tali temi, e su altri che pure sono strategici, perché permangono tendenze contrapposte. Arrivati ad un certo punto però bisogna sciogliere una volta per tutte le ambiguità ed arrivare a prendere le decisioni.
È quindi un bene che ci sia stata una mobilitazione dal basso che abbia rivendicato la questione di ampliare il dibattito presentando una certa dose di emendamenti. Io li ho firmati, pur non condividendoli tutti, accettando però la logica democratica che rimediava a delle tempistiche non eccelse previste dal Regolamento. In particolare ho condiviso l’emendamento sostitutivo al Preambolo (2), quello che è stato tanto vituperato da alcuni come ortodossia fuori tempo massimo. Eppure io non credo che lo sia, e vorrei confrontarmi con i compagni che ritengono categorie come il materialismo dialettico, la lotta di classe e l’imperialismo dei relitti ideologici non più utili oppure viceversa come temi già acquisiti e scontati nella nostra comunità. Sono risolutamente contrario alla prima condanna e ritengo molto ottimistica invece la seconda affermazione.
Io continuo a pensare che esistano due approcci fondamentali di lettura della realtà: uno inesorabilmente idealistico, che nella sua versione post-moderna profondamente impregnata di individualismo ed egocentrismo passa per la fenomenologia husserliana e la gnoseologia popperiana; il secondo materialistico e dialettico, capace cioè di non cedere a nessun tipo di relativismo riguardo al fatto che la realtà esista oggettivamente, anche fuori dall’individuo, il quale può conoscerla grazie a procedimenti analitici scientifici, pur tenendo conto che la realtà è costantemente in movimento/mutamento e le nostre stesse capacità cognitive sono quindi facilmente portate all’imperfezione e alla fallacia. A chi non è avvezzo alla filosofia potranno sembrare questioni di lana caprina, eppure il primo filone, quello storicamente avversato da Marx, Engels, Lenin e Gramsci (ecc.) è quello che ha condotto a tutte le tendenze successive che sfociano nel variegato “post-moderno”, avente come conclusione tra gli altri il “pensiero debole” di Vattimo, il bertinottismo e il rifiuto del leninismo in termini di proposta politica. Il secondo invece, la filosofia della classe operaia, è stata bollata dai più come un lugubre e mortifero meccanicismo, dogmatismo, settarismo e tante altre accuse che dimostrano solo la non comprensione di quel che sia realmente il materialismo dialettico: il miglior metodo e modo di pensare che tende alla complessità del reale, rifuggendo da formule stereotipate e prefissate.
Non si può spiegare la linea decadente del PRC degli ultimi 10 anni (limitiamoci a questo periodo) senza constatare un errore di fondo nella sua capacità di lettura della realtà, ossia nell’incapacità di maneggiare bene il materialismo dialettico, se non addirittura nella tendenza di parte della sua dirigenza ad adottare una visione idealistica della realtà, come quando si pensava di ottenere qualcosa alleandosi con Prodi… o di poter risolvere i problemi del nostro partito sciogliendolo sostanzialmente in un soggettone della sinistra antiliberista con Civati e Vendola…
Io penso invece che questa Conferenza sia una grande opportunità per costruire quadri coscienti, intellettuali organici, materialisti dialettici in grado di svolgere analisi, inchieste e iniziative filosofiche, politiche, sociali, economiche a livello teorico e pratico; compagni in grado di ragionare con la propria testa sui dati esistenti. Senza quindi dover passare dalla lettura dell’ultimo scritto su facebook del mega-dirigente che ha indicato la linea da seguire… Per fare ciò serve tanta formazione, ed è positivo che nel Documento si affronti finalmente quest’aspetto.
Quando un compagno è “formato” e “informato” noterà inevitabilmente che la struttura attuale del capitalismo odierno della sua parte più avanzata (ossia quella occidentale) non può essere ricondotta soltanto al livello “neoliberista”, ma rispecchia perfettamente la categoria marxiana (e poi leninista) della fase imperialista, oggi senz’altro più avanzata rispetto perfino ad un secolo fa, quando veniva scritto il famoso scritto di Lenin. Assieme al compagno Di Schiena abbiamo utilizzato un capitolo della dispensa di “Introduzione al Marxismo, Socialismo, Comunismo” (da pagina 18) per riportare cifre e dati che dimostrano questo fatto essenziale. È bene poi ricordare che è lo stesso PRC a dichiarare la struttura dell’Unione Europea irriformabile (ad esempio: http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2014/4/17/40322-lappello-dei-comunisti-delleuropa-per-le-elezioni-di-maggio/), arrivando alla conclusione (vedi opere dello stesso Paolo Ferrero) che si debba rompere questo meccanismo distruggendo i trattati fondativi di questa Europa. Pensare di poter riformare l’UE è una posizione ormai retrograda e arretrata che nessun serio comunista prende in considerazione, così come pensare di poter avere una relazione progressista col PD…
In diversi territori tuttavia queste questioni non sono chiare: il problema del dibattito non è se si possa o no cambiare l’UE perché la stessa linea ufficiale del Partito riconosce che non si può fare. Il problema è capire quali mezzi è più utile usare per spezzare i trattati di Maastricht, Lisbona, ecc.
La soluzione attuale, appiattita sull’esaltazione del modello Syriza-Tsipras, è inconcludente, perché riconduce nell’alveo della socialdemocrazia, la quale è inaccettabile (oltre che inattuabile, non essendoci più margini duraturi di riformismo keynesiano). Su Tsipras non voglio urlare al tradimento, quanto piuttosto mostrare un enorme errore ideologico che nasce da lontano (forse addirittura dall’eurocomunismo di Berlinguer): pensare di poter costruire il socialismo, o di ottenere riforme progressive, all’interno delle strutture dell’imperialismo (nel nostro caso dell’Unione Europea). I “30 anni gloriosi” (1945-75) sembrerebbero dire il contrario, ma quei tempi di compromesso tra Capitale e Lavoro sono finiti, crollati assieme al Muro di Berlino e il timore reverenziale che incuteva ai padroni la sola stessa esistenza di un blocco socialista in grado di garantire piena occupazione e diritti sociali fondamentali per tutti.
Oggi la via per il socialismo passa necessariamente dalla capacità di avere una linea conflittuale netta, un’organizzazione di ferro, una salda coscienza ideologica, delle analisi e dei messaggi chiari e privi di ambiguità. Senza tutto ciò è arduo raggiungere il giovane precario, lo studente spoliticizzato e tutto quello strato variegato di oppressi che rappresentano i nostri naturali referenti sociali. Tutto ciò è senz’altro impossibile da ottenere continuando a tergiversare su un tema primario come l’Europa e perdendo tempo a dialogare con persone dalle idee confuse che non rappresentano nessuno, se non altre persone dalle idee confuse. Io continuo a credere, come disse un tale che una rivoluzione l’ha fatta, che “il nostro compito non consiste nell’abbassare il rivoluzionario al lavoro dell’artigiano, ma nell’elevare quest’ultimo al lavoro del rivoluzionario.” Ed è per questo che il 25 ottobre a Roma, in qualità di delegato, voterò l’emendamento sostitutivo al preambolo n° 2.
ALESSANDRO PASCALE
Coordinatore Giovani Comuniste/i – Milano