“Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia.” Sun Tzu
E’ da nove anni che ho in tasca la tessera dei Giovani comunisti/e, e sono nove anni che la politica costituisce uno dei pezzi importanti della mia vita.
Se c’è qualcosa che tutti noi sappiamo, compagni e compagne, custodito come il segreto geloso di una comunità, è che la politica, l’essere comunisti e comuniste è abbastanza da riempire una vita. Sappiamo però altrettanto bene come la politica, questo partito, sia così ingombrante da modificare la nostra percezione della realtà, dell’importanza e dell’efficacia delle discussioni e delle azioni. Non è raro che quel principio di realtà, quella consapevolezza della violenza del mondo che noi tutti e tutte abbiamo evidente nel momento in cui scegliamo la strada della lotta contro il capitalismo, sia spesso offuscato nelle nostre riunioni da ore di dibattiti su principi, a volte anche caricaturali per come semplicisticamente li teniamo contrapposti.
E così, in una spirale perversa che non affronta le posizioni reali, con le sfaccettature che le caratterizzano, nelle nostre discussioni è tipico sentire le accuse a chi usa parole incomprensibili alle masse, a chi non ha una linea abbastanza definita, a chi è rimasto al 1917 e a chi è rimasto nel 2001, a chi è amico di Civati e chi invece vuole ripiegarsi su sé stesso, e a tutte le altre affermazioni tipiche, per cui quasi non ti senti ad una vera assemblea se non le senti.Non è facile discutere tra di noi.
Non è facile, eppure credo che occorra ripartire da quel principio di realtà che ci ha fatto muovere per la prima volta in una manifestazione, ovvero l’insostenibilità di un sistema economico che continua a fare profitti mediante lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Nelle nostre discussioni, però, parliamo spesso di noi, della nostra “classe di riferimento”, dei soggetti che vorremmo organizzare o rappresentare, ma mai dei nostri nemici. Non diamo mai un nome, un volto, alle aziende che con centinaia di migliaia di dipendenti in tutto il mondo, e con fatturati miliardari, tengono in pugno l’umanità. E finchè non lo faremo non saremo mai in grado di avere un’organizzazione in grado di avere solo l’aspirazione di sconfiggere il mostro. Soprattutto, coglierne la flessibilità.
La flessibilità, la capacità di adattamento, l’appeal mediatico del capitalismo è ciò che (per ora) lo ha fatto risultare l’unico, indiscutibile vincitore, nel ventunesimo secolo. Come potremmo noi con le nostre rigidità, i voti, i documenti, gli ordini del giorno, sempre uguali qualsiasi sia la quantità e la qualità dei componenti del partito, pensare minimamente di essere pronti alla battaglia?
Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia. Ed è esattamente quello che abbiamo fatto sinora. Se può essere immaginabile una riorganizzazione dei giovani comunisti e delle giovani comuniste dopo cinque anni (e forse più) di assoluta irrilevanza e di estenuanti guerre di posizioni interne, è solo ripensando tutte le forme organizzative e le modalità di discussioni interne ed esterne, per un’organizzazione che sia all’altezza dell’abbattimento del capitalismo del ventunesimo secolo.
Un’organizzazione che non si perda più in forme che hanno come unico obiettivo provare la capacità di resistenza dei militanti, ma che si ponga i problemi del:
1) CONSENSO: nella società massmediatica del ventunesimo secolo il problema del consenso diventa focale, e si lega con la questione dell’organizzazione. Studiare il proprio secolo vuol dire capire che il consenso non si otterrà mai su programmi elettorali, su singole proposte concrete o su dichiarazioni di odio per il Capitale. Viviamo in un momento storico dove, purtroppo, la società non esiste se non come sommatoria di individui, e la partecipazione organizzata è alquanto minoritaria. Prenderne atto nella riorganizzazione del consenso e dei nostri strumenti: l’aggregazione intorno a ceti politici/sindacali/associativi aventi come polo la parola sinistra non è più concepibile per tutti coloro che hanno meno di 50 anni, che non hanno vissuto quel mondo di partecipazione. Costruire un nemico, organizzare il dissenso verso quel nemico, essere una sola voce che si occupa solo di una questione centrale, è l’unica cosa che ci può permettere di uscire dal silenzio. I comunisti e le comuniste secoli fa sono riusciti ad organizzare la classe operaia dopo secoli di sfruttamento perchè erano comprensibili, noi dobbiamo capire come essere comprensibili oggi, quale è l’unico tema su cui concentrare l’attenzione e su cui organizzare la generazione di Solletico e di Bim Bum Bam. Solo in questo modo possiamo pensare di sconfiggere il muro di silenzio dei mass media, che non possediamo e non possederemo mai
2) CONFLITTO: Una volta individuato il tema su cui costruire la nostra azione politica, non possiamo esimerci dal tentare di organizzare conflitto “fisico” su quel tema. Il capitale ci vuole muti su fb, noi attraverso questi stessi strumenti dobbiamo riportare le persone in piazza, a bloccare i nodi centrali di accumulazione del capitale
3) EFFICACIA/PROSPETTIVA NAZIONALE: Questi anni di assoluta mancanza di ogni tipo di prospettiva nazionale, oltre che per i comunisti e le comuniste, per chiunque genericamente si definisca di sinistra, ci hanno dimostrato una cosa: l’azione territoriale non basta. L’azione territoriale senza alcuna prospettiva nazionale è fortemente depotenziata nella sua credibilità e nella sua efficacia. Noi dobbiamo essere in grado di ricostruire una prospettiva nazionale che non sia solamente sommatoria di conflitti e partecipazione territoriale, ma che riesca a generalizzarli, laddove non ci sono, ma soprattutto che li doti di quella parvenza di efficacia, perchè sia credibile la possibilità di un cambiamento dello stato di cose presenti, altrimenti il rischio che corriamo è quello dei burattini di gramsciana memoria, in un perenne movimento senza senso. Non credo sia possibile rivoluzionarci in maniera così completa se non abbattendo completamente e senza scrupoli le modalità di discussione che ci hanno caratterizzato sinora, ma solo il chicco di grano che muore produce molto frutto, quello che non muore rimane solo.
E la nostra responsabilità nei confronti dell’Italia è troppo grande per rimanere così come siamo.
CLAUDIA CANDELORO
Coordinamento nazionale Giovani Comuniste/i
Comitato politico nazionale – Rifondazione Comunista
13 novembre 2015