L’8 Gennaio 2016 si è costituito a Salerno il Comitato in difesa della Costituzione, in tale occasione ho maturato determinate riflessioni qui riassunte.
Il referendum costituzionale
È l’articolo 138 della Costituzione che stabilisce quando è possibile un referendum costituzionale, non a caso inserito nel Titolo VI intitolato: Garanzie costituzionali:
“Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.”
Un referendum è l’espressione apicale della sovranità popolare, sovranità che è capofila dei principi fondamentali all’art.1, con tale esercizio, l’esito del referendum costituirà fonte primaria del diritto, i cui legislatori saranno vincolati a rispettare, sia nel caso in cui l’esito risulti positivo, quindi approvando la norma, sia che risulti negativo, astenendosi dalla promulgazione legislativa.
La richiesta di referendum può avvenire da 500.000 elettori, da 1/5 della Camera o da 5 consigli regionali e tale richiesta può essere effettuata entro tre mesi dalla pubblicazione in G.U. della norma costituzionale in esame.
Perchè un referendum costituzionale dia esito positivo occorre la maggioranza dei voti, senza alcun bisogno del raggiungimento di un quorum, nel caso in cui vi sia una parità o una maggioranza di voti negativi la legge oggetto del referendum non sarà promulgata.
Venendo ora, dopo un excursus dovuto, a quello che sarà il referendum costituzionale sulla cd. Renzi-Boschi che si terrà, presumibilmente, nell’ autunno 2016, è necessario, prima di venire alle ragioni del NO, riassumere la ratio del ddl Renzi-Boschi.
Innanzitutto il superamento del bicameralismo perfetto: esisteranno comunque due camere, la Camera dei Deputati, ed il Senato, in una riduzione massiccia dei componenti, che saranno solamente 100 (ad ora ne sono 315 ndr.), e con “elezione” e funzioni completamente cambiate.
I 100 senatori saranno così ripartiti: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 nominati dal Presidente della Repubblica. I senatori resteranno in carica per tutta la durata delle istituzioni territoriali dove sono stati eletti “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge” (recita così l’art.2 della normativa).
Il Senato perde di fatto il potere legislativo, affidandogli, uno meramente consultivo, di indirizzo tra enti, p.a. e verifica dell’attuazione normativa.
Il ddl interviene anche sul già più volte rivisitato Titolo V, regolamentando nuovamente, l’esclusività legislativa e la concorrenzialità disciplinate dall’art.117, introducendo, secondo quanto previsto dall’Emendamento “Devolution” (ulteriore stranezza dato che nelle leggi costituzionali non sono ammessi emendamenti come nelle leggi ordinarie! Ndr.), la possibilità per le “regioni virtuose” il federalismo differenziato. Lo Stato infatti, per tali regioni, potrà decidere di affidare più poteri di quanto previsto dall’art.117.
Il ddl prevede, tra l’altro, il continuum della Legge del Rio del 2014, abolendo completamente le ex province, ora “enti territoriali di area vasta”, e il CNEL (consiglio nazionale dell’economia e del lavoro).
Le ragioni del no
Innanzitutto l’incipit del ddl.
Da dove proviene?
Dall’esecutivo!
Un ulteriore depotenziamento della funzione legislativa parlamentare, che in vista della portata della riforma, in quanto costituzionale, doveva provenire dagli spalti del parlamento.
Autori e votanti della normativa
La Corte Costituzionale, con sent. 1/2014, ha dichiarato alcuni articoli del cd. Porcellum incostituzionali. Alla vista di tale sentenza, una riforma di tale portata, non poteva essere portata avanti da Camere che operano in virtù del principio di continuità dello Stato e che, secondo la stessa Corte, subivano determinate limitazioni e non avrebbero potuto continuare per più di tre mesi (!).
Violazione della sovranità del popolo (Art.1 Cost.)
Il principio secondo il quale “La volontà dei cittadini espressa attraverso il voto costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare” è violato dalla nuova formulazione che esclude comunque che i senatori-sindaci non vengano eletti dai cittadini nemmeno in via indiretta.
Disparità di composizione tra Camera e Senato
Vi sarà una disparità MACROSCOPICA tra i 630 deputati ed i 100 senatori, i cui primi, ad esempio, saranno chiamati ad eleggere 3 giudici della Corte Cost, ed i secondi, 2 giudici, causando un problema di proporzionalità ed eguaglianza (art. 3 Cost.), oppure per la votazione del PDR…
Duplice incarico dei consiglieri-sindaci/senatori
I senatori scelti dai consiglieri regionali continueranno a svolgere gli incarichi da consiglieri regionali o da sindaci, si suppone in maniera inefficace.
Spostamento dell’asse verso l’esecutivo
Grazie al potenziamento della sola Camera dei Deputati in rapporto fiduciario col Governo, e grazie all’italicum (il partito col 30% dei voti, anche in presenza del 50% di astenuti, otterrebbe la maggioranza), l’asse verrà spostato verso l’esecutivo, in modo che il Governo diverrà il Dominus della camera, ed il rettore dell’agenda parlamentare.
Alla faccia di Montesquieu!
Di fronte a questo quadro, non resta che mobilitarsi e darsi da fare nel diffondere fin da ora la mostruosità di tali riforme che se attuate, renderanno assolutamente arbitrario un governo non eletto e incostituzionale!
ROSSELLA PUCA – GC Salerno