Le ultime amministrative ci hanno consegnato pochi elementi certi e tanta, tanta incertezza. Di sicura risalta agli occhi di tutti la clamorosa debacle del PD in quasi tutte le città in cui si presentava (nella mia città le liste del Partito della Nazione non sono arrivate neppure al 20% e quella targata PD si è fermata ad un misero 7%) ed il flop della nuova Lega salviniana nazionalista. Il grande vincitore di questa tornata è stato sicuramente il M5s, capace di recepire il malcontento e accaparrarsi il consenso di quella composizione sociale che subisce tutti i giorni sulla propria pelle il fardello della crisi. Non è un caso se risulta essere il partito più votati dai giovani (ed in questo i dati dimostrano come anche De Magistris abbia sfondato tra i giovani) e che abbia raccolto oltre il 40% di consensi nelle periferie romane, sempre più al centro della cronaca nazionale. Persiste però un forte astensionismo, sintomo probabilmente di come anche i 5 stelle abbiano si stravinto in quelle città condizionate dalla gestione fallimentare del fronte delle politiche di austerità e che non vedeva altra soluzione se non quella di dare fiducia al “nuovo che avanza”, ma che non è riuscita comunque a mostrarsi “degna” di delega per più di un terzo del Paese, sempre più lontano dalla politica. Un dato molto importante se si considera che il M5S nasce come forza che sperava di prendere consenso da chi si asteneva, si era allontanato dalla politica e dalla pratica della delega. Anche le liste che si ponevano alla sinistra del Partito Democratico hanno avuto un risultato troppo altalenante per poter dare un giudizio definitivo. Pare chiaro solo che, dove la sinistra unita rappresentava davvero un’forza autonoma e alternativa, dove non portava dentro di essa il bubbone del centrosinistra, dove ha messo in discussione se stessa aprendosi, discutendo e decidendo insieme, ha raggiunto buoni risultati (vedasi il risultato sorprendente di Caserta e Brindisi, nettamente sopra il 10% e probabilmente anche meglio delle aspettative, ed il buon 6% a Cosenza, rimasta fuori dal consiglio comunale per una manciata di voti). Dove invece risultava essere una lista nata da sommatorie non ha avuto affatto i risultati sperati, venendo percepiti come parte integrante del problema. Napoli invece è un caso a parte, splendido. A Napoli probabilmente abbiamo trovato un leader già pronto, che non vede l’ora di poter sfidare alla pari Renzi sul piano nazionale e che ha “scassato” tutto partendo anche da quelle che sembravano le fondamenta del quinquennio precedente. Un’esperienza che è riuscita a tenere assieme conflitto e pratiche istituzionali innovative, totalmente radicale nei contenuti e che di fatto ha disegnato un popolo- classe. Parla alla pancia e al cuore contemporaneamente, è alternativo e radicale nelle idee e nelle pratiche, ma soprattutto ha probabilmente centrato il tasto su cui spingere. Ha messo da parte la classica dicotomia destra-sinistra in un Paese in cui sempre più per il senso comune dei cittadini sono la stessa cosa (non a caso, ma proprio per volere di chi ci impone come pensare, facendoci apparire tutti sporchi, tutti uguali e contigui al sistema) ed ha incentrato la sua campagna sull’unità del popolo partenopeo, raccogliendo consenso dai movimenti, dagli ultimi, da chi si sente di sinistra e chi aveva smesso di delegare, e raccogliendo anche voti e consenso dalla classe media, modificando di volta in volta il tono ed il senso delle parole. Radicale con chi sogna la rivolta, rassicurante e alternativo per chi vede nella classe politica i colpevoli della crisi economica di questo Paese. Probabilmente queste amministrative ci hanno consegnato un Paese che non vuole una sinistra come mera sommatoria tra partiti e associazioni, spesso autoreferenziali, ma un Paese che sì vuole sinistra ma che ha anche bisogno di riscoprirsi popolo quando pensa che la classica frattura sociale sia ormai venuta a mancare e non può essere una sinistra vecchia e statica ad avere le risposte che attende. Il nostro elettorato non è solo quello che si sente di appartenere alla sinistra, quello a cui comunque dobbiamo puntare perché conscio e deluso delle contraddizioni in seno ai partiti della famiglia socialista europea, ma anche quello a cui non riusciamo ad arrivare e che sostiene le nostre battaglie sull’acqua pubblica, sul reddito, sulle decisioni prese orizzontalmente e non imposte e che attualmente trova nei 5 stelle la loro area. Ed è proprio a quest’aria, a questa gente, a cui dobbiamo arrivare piuttosto che ai nostalgici solo di un centrosinistra che in realtà è parte integrante del problema. Ed ancora più probabilmente fermarsi solo alla sinistra, in un Paese che ritiene il PD essere di sinistra nonostante continui ad adottare politiche di destra, non può essere una soluzione definitiva, ma base di partenza per un percorso più ampio che vada oltre gli steccati tradizionali.
STEFANO VENTO – Coordinamento Nazionale Giovani Comunisti/e