Un “no” sociale al referendum costituzionale.

Il 4 Dicembre saremo invitati a decidere se respingere o meno la riforma costituzionale ideata dal Governo.

Una riforma che porrà saldamente sotto gli artigli di una minoranza il governo di questo paese, che sbilancerà i poteri lasciando sostanzialmente alla maggioranza parlamentare  mano libera di fare e disfare leggi a proprio piacimento senza dover tener conto delle altre forze politiche e sociali del Paese.

L’orribile progetto di riforma costituzionale firmato Boschi-Renzi, già ampiamente criticabile di per sé, rientra in un progetto di riforma dello Stato italiano molto più profondo di quanto si possa pensare. La ridefinizione politica e sociale del nostro Paese in salsa neoliberista passa come atto conclusivo dalla trasformazione della nostra Costituzione; accentrare il potere nelle mani di pochi e modificare radicalmente la seconda parte della Costituzione per svuotare di senso la prima, ovvero quella dei princìpi che dovrebbero ispirare e guidare l’azione parlamentare e civile.

Non è un caso che il consiglio generale di Confindustria abbia promosso questa riforma all’unanimità: già il 21 agosto di questo anno, il suo presidente Boccia spiegava al meeting di Comunione e Liberazione come il sostegno alla riforma rientrasse nella “nostra visione che è legata alla questione economica e non politica[…] La vittoria del Sì è una buona precondizioneper costruire una politica economica intelligente per il Paese […]l’idea di una politica dell’offerta che renda competitive le nostre imprese […] Rafforzare le imprese italiane significa renderle competitive, riattivare il circolo virtuoso dell’economia, più investimenti, più occupazione, più domanda interna. Dobbiamo però partire dall’offerta e non dalla domanda […] partire da una politica della domanda sarebbe un guaio per il paese”.

maleTraducendo il discorso di Boccia, il sostegno da parte degli industriali è assicurato dal fatto che, grazie alla riforma, sarà più semplice precarizzare e togliere i diritti ai lavoratori (la famosa competitività) ed agevolare ulteriormente le imprese (partire dall’offerta) senza praticare una politica di redistribuzione della ricchezza verso il basso (la domanda); ovviamente la stessa Confindustria ci narra con dovizia di particolari gli scenari apocalittici dopo la vittoria del No, premonendo crolli verticali del Pil ed economia italiana definitivamente in recessione. La verità, dunque, è che questa riforma sarà propedeutica ad approvare velocemente una ulteriore serie di provvedimenti volti e demolire il welfare, azzerare il potere di acquisto delle famiglie, precarizzare ad libitum le esistenze delle giovani generazioni.

Così come grazie al ‘Job Act’ il mondo del lavoro si è piegato ai dettami del grande capitale, schiacciando operai, piccole partite IVA, piccole imprese e distruggendo il mercato del lavoro (le assunzioni, nel periodo gennaio-agosto 2016 hanno segnato un -8,5%, icontratti a tempo indeterminatoun -32,9%*), così come la ‘Buona Scuola’ ha depauperato ulteriormente il sistema educativo italiano, così la riforma costituzionale riproduce e ripropone le stesse scelte di carattere neoliberista e classista, moltiplicando ed espandendo i limiti costituzionali alla volontà popolare.

Da comunisti e comuniste il nostro NO non sarà dunque solo una dichiarazione di contrarietà a questo contorto disegno di riforma costituzionale, ma una forte azione democratica, un’opposizione popolare e sociale al programma ed all’ideologia del GovernoRenzi, perché invece di prodigarsi in ristrutturazioni dell’architrave statale vorremmo che si facesse l’unica vera grande riforma costituzionale importante per il Paese: applicare integralmente per la prima volta dal 1948 la Costituzione nata dalla Resistenza al nazi-fascismo, una Costituzione che mette al centro l’uomo e la propria vita e non gli interessi del capitale. Vorremmo che si rimuovessero gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (Art.3), che si riconoscessero a tutti i cittadini il diritto al lavoro e si promuovessero le condizioni che rendano effettivo questo diritto (Art.4), che si riconoscesse e promuovesse la libertà di culto (Art. 8), promuovere lo sviluppo della cultura e la ricerca (Art. 9).
La nostra battaglia non si esaurirà dunque il 4 dicembre, qualsiasi esito uscirà dalla consultazione referendaria, perché non ci fermeremo finché non avremo pane, pace e lavoro per tutti e tutte.

 

Riccardo Nicosanti
Dipartimento nazionale lavoro GC

Antimo Caro Esposito
Esecutivo Nazionale GC

*dati INPS

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