Avremmo preferito parlare di altro, eppure in questi tempi bui tocca anche assistere alla popolazione di un paesino del ferrarese che, abbandonati i propri posti di lavoro, decidere di andare (spontaneamente?) Ad occupare una strada per evitare lo stabilimento in loco di poco più di una decina di persone.
Nello stesso giorno, dall’ altro lato dell’ Italia, le cronache ci riporta la storia della popolazione di Napoli che, al contrario ha invitato e accolto i profughi provenienti dal mare per stabilirsi nella propria città.
Due storie opposte. Due popoli opposti: uno a Goro, Ferrara, ormai assorto a simbolo del cuore di tenebra dell’Italia, e l’altro a Napoli, che riscopre invece la solidarietà tra i valori fondanti del cambiamento.
Sarebbe facile concludere, come pure molti hanno fatto, nel senso di una differenza quasi antropologica tra le due popolazioni: quella di Goro, razzista, gretta e ignorante contro quella di Napoli, metropolitana, aperta, inclusiva, progressista.
Certo, piacerebbe molto concludere così, è poco faticoso e ci salva la coscienza: una bella condanna senza appello al razzismo di Goro, un plauso alla gente di Napoli, il boicottaggio delle vongole, e vai di chi scrive la punizione più diretta su Facebook.
Non che quanto detto non sia vero, non che non sia giusto: se il boicottaggio economico e morale di un paese serve ad eliminare l’inaccettabile comportamento di chi vuole sottrarsi agli inderogabili doveri di solidarietà sociale, ben venga. Ma tutto questo semplicemente fotografa una situazione, di cui viene richiesta a gran voce (soprattutto dalla sinistra che dovrebbe invece avere l’ardire di cambiare le cose) la mera repressione, ma non può aiutarci nel comprendere, e dunque superare, la barbarie strisciante.
La questione sarebbe, piuttosto, capire il perché a Napoli la presenza di un sindaco come De Magistris sia riuscita ad imporre un discorso politico egemone ben diverso dal resto d’Italia, mentre l’Emilia Romagna, testimone di una ascesa sorprendente della lega e del suo discorso politico anche tra gli altri partiti (Bologna è stata l’unica città tra le grandi ove a giugno è arrivata al ballottaggio una candidata della lega Nord, e tutta la sua campagna elettorale si è giocata sul tema della sicurezza), è oggi teatro di “proteste”come quella di Goro.
Una soluzione sarebbe considerare i napoletani come un popolo superiore,o perlomeno con maggiori titoli di studio. Ma forse, più utilmente, potremmo iniziare a considerare il ruolo che ha il discorso politico egemone in un dato territorio nella costruzione del popolo ad esso afferente: così se a Napoli si è riusciti ad individuare un nemico che è esterno alla classe lavoratrice, non succede lo stesso nel resto d’Italia, ove egemone è la frontiera tra autoctoni e lavoratori (spesso sopravvalutati nella loro reale consistenza numerica) di origine straniera.
Non possiamo più permetterci di considerare il popolo come un elemento dato da dover rappresentare. La costruzione del popolo è un campo di battaglia politica, un luogo ove costruire la propria egemonia: è solo il discorso politico egemone, in quel momento e per quel luogo, a costruire, a propria immagine e somiglianza, un dato popolo.
In Italia, oggi, sono presenti due opzioni: la “napoletana”, ovvero la costruzione di un fronte tra la classe lavoratrice e chi comanda, e quella del resto del paese, ove il fronte è interno alla classe lavoratrice. Continuare ad aderire a questo secondo fronte (seppure dalla parte dei più deboli), non può fare altro che dare il nostro contributo alla vittoria della seconda opzione, con buona pace della condanne alla Goro di oggi e a quelle di domani.
Eliminare le frontiere culturali e ricostruire quelle tra popolo e padroni, riunificare anche coloro che, oggi, sono culturalmente lontani e nostri nemici, sotto la bandiera unica della lotta allo sfruttamento. Perché sta solo a noi contrastare l’egemonia della barbarie.
CLAUDIA CANDELORO-Portavoce nazionale Giovani comunisti/e