Arrivano i profughi, i richiedenti asilo, i rifugiati, i neri a Ferrara. Non si sa bene neanche di chi si stia parlando, ma, come titolano i giornali, stanno comunque arrivando dodici donne e otto bambini nella frazione di Gorino sul delta del Po’ e i/le cittadini/e sono “in rivolta”. La rappresentazione del disagio, della fame e della guerra ci si piazza davanti agli occhi e subito si decreta la presenza del “nemico”, l’immigrato fonte di ogni possibile, quanto irrealistico, impoverimento. Accade in una provincia ricca, con numeri esigui di persone, rispetto a coloro che sono più vulnerabili, donne bambini. Non ha senso bollare quello che è successo a Gorino, in provincia di Ferrara come il semplice frutto di un razzismo, dilagante in questo paese, di coloro che si sono opposti alla presenza di queste genti. La prefettura di Ferrara ha assecondato le richieste di chi aveva eretto barricate per impedire l’arrivo di questi richiedenti protezione, se in piazza ci fossero stati studenti, lavoratori, in difesa dei propri diritti o a contestare le politiche governative, si sarebbe ripristinata la “legalità” col manganello. E’ necessario, piuttosto, analizzare una mala gestione dell’accoglienza, la completa assenza, il disinteresse e l’opposizione degli enti locali coinvolti che, lasciando in tutta Italia alle Prefetture la sola gestione dei migranti, ha implementato i meccanismi di quella logica emergenziale, disastrosa e disumanizzante che misconosce un fenomeno conosciutissimo, da anni strutturale in occidente e peraltro vitale per un’Europa che nel 2015 ha visto un tasso negativo natalità-mortalità e in un’Italia dove il tasso di natalità è il peggiore di tutti i 28 paesi membri. Per comprendere il fenomeno migratorio nella sua globalità dovremmo inoltre riflettere sui numeri delle emigrazioni dall’Italia e su quelle inter-europee; a titolo di esempio ricordiamo i 107 mila espatriati italiani solo nel 2015 e il mezzo milione di italiani stabilmente residenti a Londra e dintorni, questi, come altri esempi, devono spingerci innanzitutto ad un approccio critico e relativizzante rispetto ai numeri “sparati” negli sproloqui perlopiù delegati a talk show da sedicenti analisti che raccontano il fenomeno migratorio in Italia, ma, soprattutto, ci dimostra come la gestione “perennemente emergenziale” dell’accoglienza non sia altro che uno dei frutti dell’ interesse economico del capitale, utile tanto a implementare la lotta tra poveri in un mercato del lavoro che necessita di nuove leve e di forza lavoro, autoctona e migrante, a basso costo, quanto a favorire il business di grandi cooperative bianche e rosse. La buona accoglienza va garantita, tenendo conto che per l’Italia, in cui vivono 60 milioni di abitanti, si tratta di 150 mila persone e in Europa, di 1 milione e mezzo, a fronte di una popolazione di 510 milioni. Ma quello che è a nostro avviso necessario per rompere i meccanismi di conflitto fra ultimi è aprire una stagione di ribellione contro vecchi e nuovi padroni. Una stagione in cui lo scontro non sia fra chi deve accogliere e chi deve essere accolto ma fra chi è sfruttato e chi sfrutta, chi reprime e chi si ribella. E in tal senso vanno viste alcune iniziative che iniziano ad aggregare: Domenica 22 ottobre si è tenuta un’importante assemblea a Roma presso l’occupazione di viale delle Province 198 alla quale come GC abbiamo preso parte assieme alle realtà migranti e lavoratrici in lotta nelle principali campagne Italiane: dal foggiano alla pianura pontina, da Nardò a Rosarno fino a Bergamo e Bologna dove italiani e “stranieri” sono quotidianamente sfruttati nei campi di lavoro; In tale occasione si è parlato del DDL sul caporalato, recentemente approvato, come di uno specchietto per le allodole del governo, che non affronta le ragioni reali dello sfruttamento se non con una repressione verso l’anello facile della catena, perennemente sostituibile tanto da non mettere a rischio i profitti della grande distribuzione. Nell’assemblea si è molto discusso dell’oscenità con cui vengono calpestati diritti fondamentali come l’accesso al servizio sanitario nazionale, subdolamente legato al possesso di un permesso di soggiorno, di condizioni di lavoro e di vita che oggi non sono degne, di diritto alla casa e non alla baracca e di mobilità e abbattimento dei confini laddove, invece, il regolamento Dublino divide senza soluzione, chi può circolare o meno nell’area Schengen. Questo mentre gli stati nazione, chiusi al loro interno, e rafforzati da nuove frontiere interne ed esterne, mettono in discussione le stesse basi fragili dell’UE. Una assemblea in cui si è parlato di lavoro sfruttato e di hot spot, di malaccoglienza e di violenze subite, ma anche e soprattutto della necessità di reagire con la mobilitazione. Per questo è partita la proposta di una manifestazione nazionale a Roma per l’11 novembre. Quanto detto finora è abbastanza per convincerci che lottare insieme non sarà solo possibile l’11 novembre a Roma, ma necessario ed è proprio nella solidarietà sociale schiacciata da uno stato dove Welfare significa costo e sfruttamento è sinonimo di “affare”, la chiave per comprendere l’unico vero nemico che si arricchisce giorno per giorno sulla nostra fatica e le nostre distrazioni: l’impero dei ricchissimi, il padronato imprenditoriale perfettamente rappresentato dal governo Renzi, i dirigenti di azienda, i banchieri e gli assicuratori dell’Europa del capitalismo turbo-finanziario e del lusso mentre in mare si muore e a Gorino ci si scanna per un tetto e un pezzo di pane. Che questa e che altre iniziative europee, nazionali o locali sorgano e noi come giovani comunisti dobbiamo esserne promotori e protagonisti, in piazza come nel lavoro necessario di controinformazione quotidiana. Il fronte è unico, uno è il nemico e quello dobbiamo lottare.
Andrea Ferroni – Portavoce Nazionale Giovani Comunisti/e
Claudia Candeloro – Portavoce Nazionale Giovani Comunisti/e