Che sia l’accoglienza che gli è stata riservata in ogni città in cui si è presentato, che siano i
sondaggi che danno il No avanti, che sia stato il flop della manifestazione nazionale del PD a Roma, Renzi sta tentando di provare a blindare il risultato del Referendum di dicembre.
La strategia è duplice e doppiamente infame: da una parte la „via burocratica“, fatta di un
rimandare continuo della data del voto e aggrapparsi questi giorni a un ultimo, disperato tentativo di farla slittare; dall’altra la repressione totale del dissenso, interno ed esterno, e il tentativo di far apparire „di popolo“ la scelta del Sì.
Quando si esprime in pubblico Renzi si sceglie gli avversari, si assicura la complicità del
moderatore sempre e rigorosamente schierato con il Sì, si accerta di essere davanti a un pubblico selezionato e „nel suo ambiente“. Quando i cittadini e le piazze che lo contestano gli chiedono un confronto pubblico, aperto e franco, è sempre difeso dagli scudi e dai manganelli.
È accaduto nelle contestazioni che gli sono state organizzate a Catania, Napoli, Palermo, Perugia. È accaduto a Pisa, dove ad aprile è stato violentemente caricato il corteo di contestazione e a settembre abbiamo visto una città militarizzata per il suo arrivo. Dove in questi giorni compagne e compagni dei comitati del No intervenuti ad un’iniziativa del PD sono stati privati del microfono e del diritto a criticare la riforma. Accadrà anche questo sabato a Firenze, quando Renzi farà in modo di blindare la Leopolda, piena di fedelissimi del Sì, e fingersi sordo alle richieste sempre più determinate di un blocco popolare combattivo, fatto di forze politiche, collettivi, cittadini, comitati ed abitanti dei quartieri.
Un blocco popolare proveniente dai settori sociali che più di tutti hanno patito gli effetti della crisi e che si pongono in aperto contrasto con il sistema di governo e di potere del PD, allargando nei fatti le ragioni del conflitto e non restringendole alla sola questione della Riforma.
Perché, oggi più che mai, deve essere chiaro che non è solo il referendum e la proposta di riforma contro cui deve essere organizzata la mobilitazione. Si sente la necessità di una critica forte, compatta, radicale e rivoluzionaria al PD e al sistema di potere che rappresenta, e che va dagli interessi della Confindustria e dei padroni all’Unione Europea.
È il PD che, dal consiglio dei ministri fino alle decisioni regionali e persino locali, è responsabile delle devastanti politiche del lavoro degli ultimi 5 anni, dal governo Monti al Jobs Act. È il PD che un giorno propone il rilancio del ponte sullo Stretto e delle altri grandi opere e si vede smentito il giorno dopo dalla raffica di arresti che colpiscono parlamentari, sindaci, vertici di azienda. È il PD che legittima e ormai anzi incoraggia l’uso dei manganelli contro qualsiasi protesta o rivendicazione sociale, che taglia i fondi alla scuola pubblica, che tutela le banche a scapito delle fasce popolari. E lo fa su mandato delle grandi banche, di JP Morgan, dell’Unione Europea, della finanza capitalista internazionale.
Deve essere chiaro che la mobilitazione va costruita tutte e tutti insieme contro questa logica di potere, che è ben definita e identificabile… anche se pare che chiaro ancora non sia, a giudicare dalla posizione della CGIL e dei suoi interlocutori studenteschi e universitari e dalle posizioni di soggetti politici da sempre gravitanti attorno al PD. Si sente dire, parlandoci chiaro, che il referendum è solo una battaglia che si combatte nel merito sulla Riforma.
Io penso di no. Penso che il referendum sia il primo passo che ci troviamo davanti, ma che la battaglia sia lunga. Il nemico, per l’appunto, è sotto gli occhi di tutti e non perde più occasione per dimostrarci di essere tale. Una proposta politica dirompente, alternativa e di classe può nascere, infatti, solo dal rifiuto non solo della riforma costituzionale, ma delle politiche del lavoro, della
sanità, della scuola che ci impone il PD in accordo con Europa e Confindustria. Se non c’è la
volontà, da parte di chi si arroga il diritto di rappresentare e difendere „i lavoratori“ e „gli studenti“,
di capire la connessione che intercorre fra il disegno antidemocratico della riforma e lo
smantellamento dello stato sociale, dei diritti, delle libertà, allora questo è indice o di vigliaccheria o di connivenza. E chi si vuole schierare per il No al Referendum per stare poi zitto e subire, ancora una volta, le politiche che porta avanti il PD, evidentemente è dalla parte sbagliata della barricata.
Nella direzione della costruzione della mobilitazione sono stati già fatti passi positivi: insieme al sindacalismo di base, ai compagni e alle compagne di Abd Elsalam ucciso a settembre durante un picchetto ci siamo ritrovati il 22 ottobre a Roma, a mostrare che i Giovani Comunisti/e e il partito sono determinati a essere in prima fila. Abbiamo visto il 22 una piazza chiara, radicale, propositiva e coraggiosa.
Il percorso lungo un mese che ci separa dal 4 dicembre è ricco di altre mobilitazioni, momenti di aggregazione e formazione di questo blocco politico eterogeneo ma determinato, che vede davanti a sé la grande sfida di costruire, da sinistra, un’opposizione sociale, senza arrendersi all’astensione o ad una destra connivente e sciacalla. In questo contesto si inserisce la nostra adesione alla contestazione della Leopolda renziana del 5 novembre, a Firenze, e poi alla grande manifestazione nazionale del No Sociale organizzata il 27 novembre.
Ci sarà chi starà nelle piazze e chi starà a guardare. Noi, per quanto ci riguarda, siamo e saremo sempre nelle piazze, fra la nostra gente, contro un sistema di potere ed economico che giudichiamo insostenibile e criminale.
Niccolò Koenig
dipartimento organizzazione Giovani Comunisti/e