È difficile descrivere appieno la tristezza di questa mattinata, chi sogna di sfidare l’impossibile oggi ha perso un grande esempio vivente. È vero, le idee restano, le storie insegnano (o almeno dovrebbero), ma il significato simbolico di una morte così colpisce anche l’anima di un laico come me.
Siamo più soli sopratutto perché Fidel ci aveva continuato a stupire, ormai anche i suoi detrattori, che spesso lo avevano dato per finito, non ci speravano più nella sua morte. Ad ogni falsa notizia riappariva in tuta, nella sua casa, in quell’atmosfera umile che è facile ritrovare nelle dimore di molti.
Una mattina così, per chi sfida l’impossibile, produce un flusso continuo di sensazioni, ricordi e valutazioni, quel che scrivo fa parte dell’esercizio di chi aspira ad essere un rivoluzionario “senza perdere la tenerezza”, le mie parole sono il tentativo di dare un senso a questo flusso di idee e sentimenti.
Il primo ricordo che ho di Fidel è legato a mio padre, alle sue storie che forse un bambino non può capire del tutto, le ricordo raccontate con passione e spesso cantate col suo sigaro in bocca. Non dimenticherò mai la forza narrativa di quella che mi appariva come una moderna epopea con buoni e cattivi, con spirito cavalleresco e disinteressato, dell’esempio di chi da tutto per un’idea senza chiedere nulla indietro. È evidentemente più semplice spiegare ad un bambino questa storia identificando i buoni ed i cattivi e, nonostante possa sembrare una forzatura che taglia con l’accetta la complessità di un’esperienza storica così, io continuo a pensare che questa rappresentazione non fosse lontana dal vero: i buoni che partono con poche risorse dal loro esilio in terra straniera, che all’avventura assaltano il potere, che dedicano gran parte della loro opera rivoluzionaria all’insegnamento della lettura e della scrittura ai contadini esclusi dalla modernità, che comprendono presto che la loro forza sarà quella dell’altruismo rivoluzionario, della rivoluzione che già diventa realtà prima della presa del potere. I buoni hanno caratteri diversi, stili diversi, esprimono a pieno la loro personalità: dal dottore con l’asma al grande e passionale oratore. Dall’altra parte i cattivi, i giganti potenti, i tiranni con la loro insopportabile presunzione di bontà.
Fidel Castro è stato un uomo passionale in ogni ambito della sua vita, come ogni vero marxista e leninista è stato capace di fantasia, di rischio e costanza, ha dimostrato che non serve essere dei giganti per poter ribaltare il tavolo. In questo aspetto credo ci sia gran parte dell’esempio e della morale della sua vita, quell’insegnamento che i comunisti di questo secolo in costruzione faticano a capire ed accettare: nulla è impossibile. Certo, non è facile e non è immediato, ma non è irrealistico. Tanto quanto la rivoluzione bolscevica, quella maoista, la lotta per l’indipendenza del Vietnam, la rivoluzione cubana ha svelato al mondo quanto non fosse naturale il sistema capitalista, quanto non lo fosse nemmeno nella sua fase suprema imperialista. Un piccolo popolo consapevole, educato dall’esempio di dirigenti politici come Fidel, Raúl, Camilo ed Ernesto, può sconfiggere il gigante dell’imperialismo, la sua opera diffamatoria in tutti i paesi del mondo, finanche il suo boicottaggio diretto. È la storia, la nostra storia, che attraverso le imprese e gli occhi di rivoluzionari come Fidel e il Che si svela nella semplicità di frasi storiche: “siamo realisti, esigiamo l’impossibile” e non c’è TINA (“there is no alternative”) che tenga.
Fidel l’oratore, l’oratore per eccellenza, capace di raccogliere l’attenzione del pubblico nei contesti più disparati e per diverse ore: dal discorso all’Onu del 79, in cui tra le altre cose denunciava il pericolo di una guerra atomica e la necessità dello smantellamento delle armi nucleari, fino a quello dell’aprile scorso di fronte al congresso del Partito Comunista Cubano in cui annunciava l’arrivo del “suo turno”. È impossibile dimenticare il Fidel avvocato che difende se stesso di fronte al tribunale della dittatura di Batista, con la convinzione che la storia assolverà il suo diritto (e di tutti) alla ribellione di fronte all’ingiustizia e alla tirannia.
Fidel ha avuto un rapporto raro col suo popolo, ha in generale avuto una vera connessione sentimentale con i popoli oppressi, unici attori indispensabili per la liberazione dell’umanità dalla barbarie. È stato un patriota profondo, legato indissolubilmente alla terrà di Josè Marti, al continente di Simon Bolivar, un promotore delle differenze culturali e storiche come motori e ricchezze imprescindibili di un’umanità che rischia di uniformarsi sotto il modello intollerante del capitalismo imperialista occidentale. Fidel è entrato nella dimensione della comunicazione globale attraverso l’onesto entusiasmo di chi ha il privilegio di stare tanto in mezzo al popolo quanto accanto ad altre figure rivoluzionarie del suo tempo, ho la profonda convinzione che sia stato uno dei pochi uomini “pubblici” del novecento a non aver interpretato sorrisi o entusiasmi di convenienza, ad aver davvero promosso l’internazionalismo degli oppressi, della classe obrera, dei sinceri rivoluzionari. L’energia del confronto e dell’incontro la percepisco nelle tante foto che girano in queste ore sui social, foto storiche che non lo vedono mai solo, che lo vedono insieme al Che, a Malcolm X, a Yasser Arafat, a Nelson Mandela, a Tito, ad Allende, a Nasser, a Giap, a Lula, a Sankara, a Gheddafi, a Gagarin, fino agli ultimi scatti insieme a Papa Fransisco ed Hugo Chavez.
Fidel Castro è stato davvero tutto questo, è stato un rivoluzionario completo, capace di condividere eroismo e governo, creatività rivoluzionaria e rispetto delle radici, è stato capace di ispirare generazioni intere di rivoluzionari, di comunisti. Arrivano forse troppo tardi i nostri sentimenti e le nostre valutazioni, soprattutto di fronte alla nostra impotenza nei confronti dello stato presente di cose, ma non è mai troppo tardi per imparare la lezione, per capire che il rifiuto del rischio è parte del problema, che il coraggio si può svolgere in tanti modi, in tante piccole azioni, dalla discussione alla presa del potere, dall’organizzazione dell’avanguardia alla costruzione del popolo.
Tanto dovrei e potrei ancora dire, sopratutto per coprire l’indegno spettacolo che già in questi minuti gli opinionisti improvvisati (ma interessati) stanno danno sui media, per ora basta vedere chi festeggia la sua morte per capire la sua caratura umana e politica e per comprendere quanto siano ancora valide le nostre ragioni. I traditori, i venduti, i cani, che siano giornalisti di regime o mafiosi di Miami, gioiscono di fronte alla morte del comandate facendo finta di non sapere che gli uomini passano, ma l’idee restano per sempre. Un’antico detto arabo ci ricorda che “sul cadavere dei leoni festeggiano i cani, credendo di aver vinto. Ma i leoni rimangono leoni e i cani rimangono cani”.
In definitiva Fidel Castro ci ricorda una cosa: la vita è troppo breve per non essere vissuta fino in fondo. Da rivoluzionari.
Simone Gimona
coordinamento nazionale Giovani Comuniste-i
segretario federale Rifondazione Comunista Bologna