“Conosco gente che è meglio non stia tra i piedi”. Così il Ministro del Lavoro riguardo la cosiddetta “fuga di cervelli”. Secondo le statistiche circa 100 mila giovani sceglierebbero di andare all’estero per cercare lavoro, non giudicando l’Italia, il Paese in cui hanno studiato e si sono formati, in grado di dargli le giuste opportunità lavorative.
Tralasciando le facili battute sull’uscita simil-isterica del Ministro del Lavoro, va detto che da chi riveste un compito istituzionale, da chi dovrebbe trovare le soluzioni perché non sia più necessario andare altrove per vivere dignitosamente, ci saremmo attesi quantomeno toni differenti.
Ma dopotutto, parliamo dello stesso Ministro che circa un anno fa esortava i giovani a non puntare su buoni voti ma su tempi stretti per terminare la propria carriera di studi (“Laurea a 28 anni con 110 e lode? Non serve a niente, meglio a 21 con 97”).
Parliamo dello stesso Ministro che ha approvato il Jobs Act, che precarizza il mercato del lavoro e impedisce ai giovani di costruirsi una vita fuori di casa (a meno ovviamente di non andare all’estero).
I dati sul lavoro sono impietosi, a crescere risultano praticamente solo i voucher, ovvero i buoni dedicati al lavoro a ore, in altri termini la precarietà della precarietà. Nel periodo gennaio-ottobre 2016 — sentenzia Osservatorio sul precariato dell’Inps — sono stati venduti 121,5 milioni di voucher destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio, del valore nominale di 10 euro, con un incremento, rispetto ai primi dieci mesi del 2015, pari al 32,3%. A poco serve la dichiarazione secondo cui il Governo sarebbe pronto a limitarne l’utilizzo. La realtà che ci viene consegnata è quella di un Paese in cui per lavorare bisogna chiedere per favore, mobilitando magari conoscenze familiari e le amicizie come suggerisce businessinsider, e ringraziare di essere pagati a livello di sussistenza perché si potrebbe sempre dover lavorare gratis (alternanza scuola-lavoro a McDonald’s insegna).
Ci permettiamo di suggerire al Ministro Poletti di avere un po’ di rispetto per quei giovani che hanno lasciato il Paese in cerca di fortuna, una fortuna che qui in Italia sembra impossibile trovare. Affermare che chi resta qui non sia stupido (“un pistola” per dirlo alla Poletti) è un’ovvietà, ma spesso dietro questo restare in Italia vi è anche l’impossibilità da parte della famiglia di origine di sobbarcarsi il mantenimento di un figlio all’estero, dato che i prezzi nelle maggiori capitali europee non sono certo a buon mercato. Il Governo dovrebbe impiegare le sue energie per cercare di trovare soluzioni a questa tendenza dei giovani a lasciare l’Italia, a rendere l’esperienza all’estero un’esperienza di arricchimento e non la sola possibilità per non restare a tempo indeterminato nella casa di famiglia.
La difesa di ufficio del Partito Democratico sui social networks, di scherno nei confronti delle giovani generazioni colpevoli di essere viziate e di accettare lavori malpagati all’estero anziché in patria, non fa che ampliare il divario tra quel partito e i giovani che già lo hanno castigato due settimane fa al referendum costituzionale.
Stefano Rognoni
Coordinamento Nazionale GC