Alpi Apuane: sono le bellissime montagne che compongono la provincia di Massa Carrara e avvolgono la sua costa. Non solo belle, ma anche ricche per una loro peculiarità: nelle loro viscere si trova pregiatissimo marmo. Cavato in blocchi dai tempi dei romani, nell’epoca del capitale il mercato più redditizio è quello del carbonato di calcio, ottenuto frantumando le scaglie che costituiscono gli scarti dell’estrazione. Secondo la legge, non più del 75% del totale estratto può essere composto da scaglie, e per controllare che questo limite venga rispettato esistono delle postazioni presso le quali i camion trasportatori devono effettuare la pesa del prodotto; ma basta parlare con chi vive nei borghi montani per venire a sapere di camion che, quotidianamente, trasportano il loro carico al di fuori dell’orario di apertura delle pese pubbliche. Perché dovrebbero, se non per nascondere il superamento del limite imposto dalla legge? A pensar male si fa peccato, ma spesso s’azzecca: ogni giorno sulle nostre montagne la poesia di un materiale così prezioso viene letteralmente sbriciolata dalla voracità dei concessionari di cava.
Il lavoro in cava e nelle segherie è estenuante per sua natura, ma anche per i turni massacranti cui sono costretti i lavoratori e la quasi inesistente sicurezza: solo nel 2016 hanno perso la vita, nel settore, quattro operai. Inoltre i lavoratori anche questo settore sono vittime del ricatto occupazionale: pur non raggiungendo i numeri di qualche decennio fa, si parla comunque di due migliaia di impiegati nel settore (dati Fondo Marmo); in una provincia che tocca livelli di disoccupazione paragonabili a quelli del Meridione, essi spesso sostengono i concessionari delle cave contro le istanze di chi chiede la salvaguardia dell’ambiente apuano, senza vedere la connessione fra sfruttamento della natura e sfruttamento dell’uomo: la volontà di profitto non guarda in faccia alla vita umana, figuriamoci all’ecosistema.
Da un punto di vista ambientale, oltre alla distruzione sistematica delle montagne, combinazione dei sopra citati turni lavorativi molto lunghi e delle sempre più “produttive” tecnologie di estrazione, si riscontra anche l’inosservanza delle regolamentazioni sullo smaltimento dei rifiuti di produzione, come la marmettola: una polvere di marmo che, non adeguatamente eliminata, entra nel ciclo dell’acqua, rendendo necessari costi altissimi per la sua depurazione (che finiscono nelle bollette) e riducendo i loro alvei cementandovisi dentro fino a valle, con il conseguente aumento del rischio di straripamento.
«Le cave sono un piccolo laboratorio di capitalismo avanzato: distrugge l’ambiente, distrugge la coscienza di classe dei lavoratori, distrugge i piccoli che vengono annullati dai grandi padroni del marmo» (Nicola Cavazzuti, consigliere comunale PRC Massa)
Qual è dunque il compito dei comunisti? Come devono approcciarsi ad una battaglia di questo tipo? Quali finalità a breve, medio e lungo termine?
Anzitutto, le cave dichiarate insicure anche dopo gli ultimi, drammatici casi di morte sul lavoro, devono essere chiuse immediatamente ed adeguate alle norme di sicurezza: si lavora per vivere, non per morire.
Sul fronte ambientale, Rifondazione Comunista ha avviato una raccolta firme per chiedere che i costi della depurazione delle acque siano a carico dei concessionari di cava e non dei cittadini. Del resto la marmettola è lo scarto dell’attività estrattiva da cui essi traggono profitto – e che profitto! Ventidue euro ogni cento investiti, a fronte dei due delle altre attività industriali del territorio (dati CCIAA Massa Carrara).
Sul medio periodo, devono essere stilare regole ferree per tutto il settore: dal coinvolgimento diretto del Consiglio Comunale per le concessioni all’abolizione delle subconcessioni, dal contingentamento delle quantità estraibili quotidianamente da ogni lavoratore alla previsione di un minimo fisso della tassa marmi per disincentivare l’estrazione di scaglie, fino alla copertura totale, da parte del concessionario, dei costi di ripristino ambientale una volta dismessa la cava. Queste sono alcune delle proposte che Rifondazione Comunista porta per la realizzazione del regolamento degli agri marmiferi nel Comune di Massa. Nota recentissima, nel Consiglio Comunale massese del 9 gennaio 2017, il PRC ha riportato una vittoria su una questione purtroppo nient’affatto scontata: l’approvazione del suo emendamento con il quale vi è il riconoscimento ufficiale degli agri marmiferi come bene comune nell’articolo 62 dello Statuto comunale.
Ma il vero fine ultimo è quello dell’alternativa ad un sistema mortifero per persone e ambiente, non il suo (impossibile) miglioramento con conseguente rinvio ad un futuro nebbioso e incerto ogni reale cambiamento. L’obiettivo è la collettivizzazione del settore, dall’estrazione alla lavorazione da farsi sul territorio. Cave gestite pubblicamente, produzione commisurata ai bisogni reali e non finalizzata all’arricchimento di chi, con una concessione in mano, si crede padrone e si comporta come tale; ricchezza che torna completamente alla città.
Ma il marmo, come molte altre risorse, non è infinito, e le montagne non potranno essere erose per un tempo illimitato: prima o poi, le cave andranno chiuse. Per questo è necessario cominciare sin da subito a lavorare ad un piano per la creazione di posti di lavoro, che riassorbano pian piano, nel corso degli anni che saranno necessari per il totale abbandono dell’escavazione del marmo, tutti quelli che andranno persi ed anche quelli, forse ancora più numerosi, che già mancano. Questo senza fare l’errore di pensare che la panacea di tutti i mali sia il settore del turismo: è semplicemente impensabile. Il punto chiave è la riqualificazione della zona industriale, ridotta ormai ad un guscio quasi vuoto. Il tutto tenendo sempre ben a mente il rispetto dell’ambiente, evitando disastri che il nostro territorio conosce troppo bene.
Mentre i governi (tanto di centro destra quanto di centro sinistra) riducono gli spazi di democrazia, noi non dobbiamo perdere la razionalità e lasciarci andare a voli pindarici, ma nemmeno essere vittime del «non si può fare punto e basta» che spesso distrugge il nostro entusiasmo quando ci troviamo a lavorare nella quotidianità delle nostre piccole, apparentemente insignificanti cittadine.
Guardiamo le nostre montagne, pensiamo alla grande lotta contro il capitale di cui sono teatro ogni giorno e partiamo da qui.