di Geraldina Colotti, da Caracas
Cambiano faccia alla velocità della luce e a quella della “post-verità”. Dopo le dichiarazioni di Ramos Allup, capo del partito Accion Democratica (Ad, il centrosinistra della IV Repubblica), ieri è andato in televisione anche la banderuola per eccellenza, Henrique Capriles Radonski, leader del partito Primero Justicia: per dire che, come l’ex presidente del Parlamento e vicepresidente dell’Internazionale socialista, anche lui parteciperà con la sua compagine alle elezioni regionali e a quelle presidenziali, che terranno l’anno prossimo. I candidati potranno iscriversi fino al 17 agosto. Lo ha dichiarato il Cne, che le opposizioni hanno attaccato e screditato fino all’ultimo pur avendone usufruito per le proprie primarie e anche per vincere le elezioni parlamentari del dicembre 2015. Intanto, l’ex sindaco della Gran Caracas, Antonio Ledezma, è tornato agli arresti domiciliari. Il beneficio, di cui usufruisce per motivi di salute, gli era stato revocato per “pericolo di fuga”. Resta invece in carcere Leopoldo Lopez, leader di Voluntad Popular, dov’è ritornato per aver trasgredito agli obblighi invitando a più riprese i suoi a rovesciare il governo.
Maduro ha incassato l’indubbio successo politico: l’importante è che il paese possa discutere a fondo i problemi che lo attanagliano, sia quelli indotti dall’esterno che quelli interni. Il profilo e il programma di molti eletti dalle strutture di base del potere popolare indicano che non si faranno sconti: né ai burocrati, né alle zavorre, né a quelli che da noi chiameremmo i ravanelli, rossi fuori e bianchi dentro.
I più entusiasti, tra i quadri chavisti, sono quelli che hanno dovuto segnare il passo a causa dell’inazione o del sabotaggio di chi ha visto nella nuova situazione solo un’occasione per sbarcare il lunario indossando una maglietta rossa. Problemi storici, complicati da una situazione in cui il nuovo promette di imporsi “dall’interno”, depotenziando lo Stato borghese attraverso la costruzione di un “contropotere” che lo renderebbe obsoleto. Nella realtà, le cose rischiavano di andare diversamente e il “proceso bolivariano” rischiava di imputridirsi dall’interno: per l’incrostazione pervicace di parassiti che impedivano una reazione adeguata, autocritica e programmatica, alle aggressioni imperialiste. Aggressioni che costituiscono, indubbiamente, le cause principali e scatenanti della crisi sofferta dal Venezuela nel quadro di quella più generale e storica in cui si dibatte il capitalismo e che non consente “isole felici” in un solo Stato.
Attacchi che, infatti, si sono intensificati dopo il ritorno a destra di due grandi paesi latinoamericani, Argentina e Brasile, determinanti all’interno di un organismo come il Mercosur e anche all’interno dei Brics (il Brasile). L’arrivo di Trump in Nordamerica ha ulteriormente complicato il quadro, evidenziando il ruolo centrale assunto dal Venezuela nel continente e nel nuovo reticolo di relazioni geopolitiche del mondo multipolare.
Grazie alle 5 presidenze assunte in organismi chiavi delle istituzioni internazionali, grazie all’intelligente posizionamento nella sfera di influenza di Cina, Russia e Iran, il Venezuela ha potuto allentare il cappio delle sanzioni e delle aggressioni promosse dagli Usa e dall’Europa: senza subalternità, ma con il dichiarato intento di “sminare” le relazioni di guerra con la “diplomazia di pace”.
E così, dalla presidenza del Movimento dei Paesi non Allineati (Mnoal), si è potuto agire con i paesi Opec e non Opec per ridurre la produzione di barili e contrastare la drastica caduta del prezzo del petrolio: che ha seriamente intaccato le entrate del paese petrolifero, colpito anche dal killeraggio finanziario delle agenzie di rating che qualificano il “rischio paese” e impongono altissime condizioni nelle richieste di prestiti. E al primo punto del programma della Costituente – che promette di blindare e codificare le conquiste ottenute dopo l’approvazione della precedente, nel 1999 – c’è la costruzione di “un nuovo modello produttivo”. La discussione sullo sfruttamento dell’”arco minerario” promette di essere “caliente”.
Presentarsi anche all’esterno come una forza credibile, capace di risolvere i problemi e di governare il paese senza isteria, è dunque un grosso risultato: lo è proprio in quanto viene misconosciuto da quanti guardano alle questioni in campo solo con l’ottica della Troika o del Fondo Monetario Internazionale. E in un continente che ha comunque respirato l’aria di una “seconda indipendenza” producendo persino un “papa bolivariano”, la dignità fa effetto. Nel più completo abbandono dei simboli di riscatto delle classi popolari a 100 anni dalla rivoluzione d’Ottobre, anche nei paesi neoliberisti fa effetto che un ex operaio del metro ora alla presidenza sia capace di alzare la testa contro “l’impero”. Risalta la differenza con il suo omologo messicano Enrique Pena Nieto, a cui Trump dà ordine “come a un impiegato”. Potrebbe persino sortire qualche effetto nella navigatissima Italia, dove il modello del “cagnolino simpatico” che in un conflitto toglie le castagne dal fuoco per il padrone si alterna a quello della “vittima meritevole”, grata o piagnucolante nel farsi sfruttare.
Durante gli anni della IV Repubblica, quando nessun politico – come da noi – voleva assumersi la responsabilità per il disastro provocato dal neoliberismo, Chavez guidò una ribellione popolare, nel 1992. E quando fallì se ne assunse la responsabilità: “Compagni – disse – purtroppo la rivoluzione è fallita. Per ora.” E fece effetto, consegnano una promessa di riscatto che si è rinnovata anche nell’”epica del voto” per la Costituente, le cui immagini non vedrete comunque in Italia.
A livello internazionale, le destre fanno blocco per impedire con ogni mezzo la Costituente. Il presidente del Perù, Pedro Pablo Kuczynski (quello per cui l’America latina è “il perro simpatico di Trump”) ha convocato a Lima una riunione per discutere del Venezuela. La Costituente si installa oggi alle 11 in un Parlamento considerato “in ribellione” dal Tsj: perché non ha insistito ad accreditare tre deputati fraudolenti, eletti nel 2015. Un tempo, in Venezuela, c’erano due camere. In una di queste, prenderanno posto i costituenti, accompagnati dal potere popolare con una grande manifestazione nazionale.