Le Giovani Comuniste e i Giovani Comunisti hanno il compito non solo di essere parte integrante dei movimenti reali, ma anche e soprattutto quello di ricostruire un’elaborazione politica autonoma. Per questo, in occasione della manifestazione che si terrà a Roma l’8 Marzo, come GC di Roma e provincia abbiamo realizzato un contributo per l’analisi e la discussione delle tematiche di genere e sulle pratiche del femminismo.
La recente storia femminista può trovare origine nella Polonia del 2016, teatro di un’imponente manifestazione contro il divieto sull’aborto, e in Argentina dove l’assassinio di Lucia Perez ha portato le donne a scioperare al grido di “Ni una menos” diffondendo il movimento in tutto il mondo. L’internazionalismo di questo movimento si è espresso prepotentemente l’8 Marzo 2017 quando è stato organizzato il primo sciopero globale, dimostrando il ruolo chiave delle donne che sostengono questa società sia tramite il lavoro salariato sia tramite quello non pagato, come quello domestico. In Italia, Non Una Di Meno connette la lotta alla violenza di genere a quella contro gli effetti dell’austerità neoliberista, del precariato e del razzismo, configurandosi come uno dei rari movimenti reali di massa. Quello che emerge è un progetto di trasformazione dell’esistente per creare una società in chiave femminista, queer e anticapitalista.
La lotta contro la violenza di genere riguarda donne diverse tra loro e si articola spesso attraverso l’idea di intersezionalità. Questa categoria ed esperienza politica, nata nelle battaglie delle donne africo-americane a partire dagli anni Settanta, mette al centro differenze e diseguaglianze tra donne.
«In qualche modo usiamo sempre come metro di paragone coloro che sono al centro delle strutture che vogliamo demolire. Perché mai le donne dovrebbero voler diventare uguali agli uomini? Perché mai i neri e i latini e gli arabi e i musulmani dovrebbero voler diventare uguali ai bianchi? Perché la comunità LGBTQ dovrebbe volersi assimilare a un contesto di eteropatriarcato? Dobbiamo essere coscienti del grado con cui l’assimilazionismo tende sempre a regnare sovrano. Il razzismo è stato risolto integrando i neri e le persone di colore in una società dove vige la supremazia bianca senza pensare a cosa dobbiamo fare per trasformare quella società…oggi il femminismo che si sta affermando è un femminismo intersezionale, non è un femminismo che vede la risoluzione alla violenza nell’incarcerazione né un femminismo “da soffitto di cristallo”».
Da queste parole di Angela Davis prendiamo quindi il passo per criticare quello che viene definito “femminismo liberale”, questo infatti, nonostante condanni la discriminazione e difenda la libertà di scelta, non riesce a cogliere quei vincoli socioeconomici che non permettono la piena emancipazione delle donne. L’obbiettivo non viene riconosciuto nell’abbattimento delle gerarchie sociali ma nella diversificazione delle componenti, come se fosse una conquista l’ottenimento della parità di genere fra le classi padronali e riducendo il femminismo ad una pratica elitaria e individualista.
Il femminismo che cerchiamo di realizzare invece è intrinsecamente rivoluzionario, anticapitalista, antirazzista e socialista, una pratica quotidiana che parta da un’analisi di classe per schierarsi al fianco degli sfruttati e degli oppressi. Il sessismo infatti non è un incidente di percorso all’interno della società capitalista, ma è connaturato al capitalismo stesso. Sicuramente non è stato il capitalismo ad inventare la subordinazione femminile ma è stato questo sistema a creare una nuova forma di sfruttamento separando la riproduzione dalla produzione per il profitto e assegnando la prima funzione alle donne subordinandola all’altra.
Nella società capitalista a costituire una classe non sono solo le relazioni che sfruttano direttamente la forza-lavoro ma anche le relazioni che le producono e le integrano. Più di una donna su tre ha fatto esperienza di violenza di genere nella propria vita, in molti casi il responsabile è un partner intimo della vittima, altre volte la violenza è sistematica; ne viene dato esempio dallo stupro utilizzato negli ambienti militari o da parte dei trafficanti e dalle violenze sessuali, o le molestie sul lavoro perpetrate da figure nella posizione di poter ordinare favori sessuali. Alla radice di questo c’è la vulnerabilità economica, professionale e razziale delle donne, la dipendenza dalla busta paga, mentre in altri momenti si innestano sistemi di potere gerarchico, come nei casi dei cosiddetti “branchi di adolescenti”, in cui l’abuso delle ragazze aumenta il proprio status all’interno del gruppo.
Le risposte tradizionali sono inadeguate, la criminalizzazione, la certezza della pena infatti non portano ad un reale cambiamento della realtà, soprattutto in un sistema con un apparato giudiziario che colpisce pesantemente solo i neri poveri della working class. La violenza è parte integrante di questo tipo di società e non può essere slegata dal sovvertimento dell’intero sistema.
Guardando alla situazione italiana vediamo un attacco continuo al welfare sociale seguendo le istruzioni neoliberiste, contro la 194, per la privatizzazione della sanità e la chiusura dei consultori. Contro questo attacco sociale la nostra organizzazione deve opporsi a queste politiche reazionarie, contro il ddl Pillon e l’obiezione di coscienza, per un aborto libero e sicuro, per la gratuità dei metodi anticoncezionali e dei dispositivi igienici e sanitari femminili; senza dimenticare di combattere le dinamiche sessiste che si sviluppano talvolta anche all’interno della nostra organizzazione.
Il femminismo dunque o è anticapitalista oppure è solo l’ennesima distrazione di massa creata dal capitale. In questo senso, come Giovani Comuniste e Giovani Comunisti riteniamo fondamentale contribuire alla manifestazione transfemminista dell’8 marzo organizzata da NUDM, capace di portare in piazza una militanza che non si vedeva da tempo e che neanche i sindacati sono più in grado di realizzare.
Giovani Comunisti/e Roma – Litoranea e Castelli