Supponiamo che, a seguito del pessimo risultato elettorale di un partito, a qualcuno dei suoi dirigenti venga in mente di scioglierlo, per scrollarsi di dosso orpelli ideologici e guai giudiziari.
Supponiamo anche che, a larga parte della base più identitaria, questa scelta non vada a genio, e che i dirigenti decidano quindi di non aprire uno scontro frontale, di mettere il partito in standby, farlo lavorare dove ancora funziona e nel frattempo lavorare alla costruzione di un soggetto elettorale meno connotato ideologicamente.
No, non si tratta dell’ennesimo capitolo della storia della sinistra italiana, ma di quanto avviene oggi al “fascismo del terzo millennio”
Ha destato particolare scalpore l’annuncio dato ieri da Gianluca Iannone e Simone Di Stefano che CasaPound Italia non si presenterà più sul terreno politico-elettorale, dedicandosi di nuovo a quel lavoro nel sociale che ha visto nascere il movimento. A questo punto, l’errore che dovremo evitare nel leggere questi movimenti nella galassia neofascista, è quello di applicare a quel mondo gli schemi e le categorie di ragionamento intorno a cui dibatte da anni la nostra parte politica.
E’ indicativo che nelle diverse analisi che iniziano a circolare nei nostri ambienti, ciascuno cerchi di leggere questo ennesimo trasformismo con le lenti del proprio movimento o della propria tendenza politica: secondo i più istituzionali il tentativo di CasaPound sarebbe l’inizio di una fase di entrismo dentro la Lega o Fratelli d’Italia, in modo analogo a quanto avvenuto inizialmente con l’associazione “Sovranità”, al fine di incrementare il numero dei propri eletti.
Secondo altri, provenienti dall’area antagonista, sarebbe invece la dimostrazione che i fascisti hanno capito che le loro parole d’ordine sono state scippate da Salvini, e che quindi decidano di abbandonare l’inutile campo elettorale per operare nel campo che conta, quello sociale, arrivando anche qui in anticipo rispetto ad una sinistra ammuffita ed elettoralista che ancora perde tempo dietro alle elezioni anziché aprire centri sociali.
E’ possibile, naturalmente, che in ciascuna di queste analisi vi sia un pezzo di verità, ma esse hanno il limite di non prendere in considerazione i mutamenti del quadro politico.
Il “governo del cambiamento”, che era nato sotto la stella dello scontro istituzionale col presidente della repubblica Sergio Mattarella sul punto dirimente di una possibile uscita del nostro paese dall’eurozona, rivela oggi le sue vere caratteristiche di sintesi degli interessi tra capitalismo nazionale e capitalismo europeo, di cui la svolta “europeista” del M5S e soprattutto della Lega rappresenta forse il tratto più simbolico.
Così, in un quadro generale che in europa soffia volutamente sul conflitto tra “europeisti liberisti” e “sovranisti fascisti”, conflitto ovviamente strumentale e artefatto dal momento che si può essere sia europeisti antiliberisti che sovranisti antifascisti, in Italia venga paradossalmente a prodursi un vuoto politico intorno ad uno dei due estremi.
Questa cosa è stata immediatamente chiara durante la campagna elettorale europea, in cui CasaPound sotto lo slogan “ItalExit” ha spinto l’acceleratore per collocarsi in tale spazio politico, mettendo a frutto diversi nuovi acquisti, provenienti da un mondo che non è esattamente quello dei picchiatori neofascisti che di solito ne rappresenta la base elettorale.
Con un risultato che, passando dallo 0,9% delle politiche allo 0,3% delle europee rappresenta un flop non indifferente.
E’ ipotizzabile che, contro tale risultato, si sia schiantato il progetto di Di Stefano di far confluire i fascisti del terzo millennio in un nuovo partito no euro, privo di discriminante fascista/antifascista, e che la mossa di far tornare CasaPound all’associaizone sociale degli albori, sia dettata dall’esigenza di evitare una spaccatura lacerante e di lasciare le mani libere a chi volesse comunque tentare l’avventura no euro.
La nascita di un “ItalExit party” direttamente o indirettamente neofascista sarebbe un fatto politico estremamente pericoloso, perché porrebbe quello che finora era un gruppo estremamente minoritario, nella condizione di occupare uno degli estremi in cui la dialettica è stata oggi artificiosamente suddivisa dalle classi dominanti.
E’ pertanto necessario che oggi la sinistra di classe si ponga come obiettivo politico di fase il ristabilimento della centralità del conflitto capitale-lavoro a livello di senso comune diffuso.
La tattica è ovviamente oggetto di dibattito, ma non può prescindere dal riconoscere una legittimità a tutte le posizioni anticapitaliste, comprese quelle no euro.
Troppo spesso negli ultimi mesi tra compagni si è proceduto a distribuire scomuniche intorno alle posizioni in politica economica, di cui la caccia ai “rossobruni” (calderone infamante in cui finisce chiunque abbia posizioni no euro) è solo la punta dell’iceberg, a cui fa da contraltare una opposta caccia all’ipotetica “sinistra fucsia”.
Se una autocritica può essere fatta all’esperienza elettorale de La Sinistra, pur tra indubbi elementi di pregio come il ristabilimento della centralità del ruolo dei partiti politici organizzati, c’è infatti quello di non aver saputo operare una sintesi tra culture politiche diverse e non essersi caratterizzata fortemente intorno al conflitto capitale-lavoro, per tentare di imporlo in modo egemonico al centro dell’agenda politica.
Su questo occorre che si apra una seria fase di riflessione.
Perché gli altri, fascisti compresi, questa riflessione la stanno facendo.
Nicolò Martinelli – Responsabile antifascismo Giovani Comunisti/e