La vicende delle ultime settimane riguardanti i salvataggi in mare hanno scosso l’opinione pubblica di tutta Europa. Il governo italiano ha ripetutamente voluto esibire una sterile prova di forza. Una prova di forza fatta sulla pelle dei migranti. Mentre si impiegavano mezzi e risorse per bloccare per giorni la SeaWatch3, contemporaneamente a Lampedusa continuavano a sbarcare migranti salvati da altre imbarcazioni. In questi episodi emerge tutta la fallacità della logica dei porti chiusi, un’arma puramente propagandistica e puntualmente adottata da Salvini. In questa triste vicenda, l’Unione Europea si è dimostrata come sempre assente. I migranti sono considerati nient’altro che un problema, una fonte di tensioni e di cali di consensi elettorali. In Europa non c’è alcuna volontà di intervenire collettivamente sulla questione migratoria, fingendo che l’Occidente non abbia responsabilità su quanto accade dall’altra parte del Mediterraneo.
È fondamentale parlare di responsabilità, poiché in Italia il conflitto tra governo e ONG non è cominciato ieri e tantomeno con Salvini. Il precedente Ministro dell’Interno, Marco Minniti, ha dato un contributo essenziale nella creazione della logica di criminalizzazione delle ONG e di equiparazione tra chi salva vite umane e chi organizza la tratta di essere umani. L’accordo con la Libia firmato da Minniti nel 2017 è alla base di quanto accade oggi, giungendo al paradosso di considerare la Libia un porto sicuro mentre imperversa una guerra civile della quale le potenze dell’imperialismo occidentale hanno piena responsabilità. Con lo stesso accordo si foraggiava con mezzi e risorse la guardia costiera libica, la quale non ha certo brillato in termini di rispetto dei diritti umani. I campi di concentramento sulle coste libiche sono irrimediabilmente legati alla politica scellerata condotta dall’Italia nei suoi accordi con la Libia.
È impossibile non prendere posizione in questa vicenda. La criminalizzazione di chi salva vite in mare si accompagna in Italia da anni con la criminalizzazione di chiunque dissenta, crei spazi di opposizione sociale e operi nel campo della solidarietà. L’arresto della capitana Carola Rackete è la punta dell’iceberg di questo processo di criminalizzazione. Forse l’inizio di una repressione più vasta. Pensiamo che queste vicende, dati i risvolti internazionali assunti abbiano bisogno di una mobilitazione internazionale per riaffermare le parole d’ordine di solidarietà e internazionalismo più che mai necessarie in questo momento storico.
Pertanto, chiediamo:
- Che la Presidenza del Parlamento Europeo, riveda e rimetta al voto la proposta di legge in materia di immigrazione presentata dal nostro gruppo europarlamentare GUE\NGL, che punta ad una equa distribuzione dei migranti tra i paesi membri.
- Corridoi umanitari per far in modo che il Mediterraneo non sia più un cimitero di morte, non riconoscendo come porto sicuro la Libia e la Turchia (che non riconosce la convenzione dei diritti dell’uomo di Ginevra).
- Rifinanziamento dei fondi destinati alla cooperazione internazionale per attività sociali volte allo sviluppo dei territori devastati dal colonialismo occidentale e bloccando la riconversione dei suddetti fondi in armamenti.
Giovani Comunisti (Italia), Linksjugend ‘Solid (Germania), SDS Die Linke (Germania), Eh Bildu (Paesi Baschi), Tàncsics Mozgalom (Ungheria), Left Unity (Regno Unito), Plaid Ifanc (Galles), Neolaia (Grecia), Jovent Republicà (Catalogna)