Al termine della Prima Guerra Mondiale l’Impero Ottomano si sgretola. Il trattato di Sèvres del 1920 prevede la formazione di stati nazionali secondo il principio dell’autodeterminazione etnica, culturale e religiosa. Questa impostazione avrebbe dovuto portare alla nascita di stati nazionali per i curdi, gli armeni e i popoli arabi, oltre che alla formazione dello Stato turco. Il Kurdistan sarebbe stato in un primo momento interno alla Repubblica turca e solo successivamente, nel caso in cui la popolazione curda lo avesse voluto, avrebbe potuto a buon diritto richiedere ed ottenere l’indipendenza.
Mustafa Kemal Ataturk, fondatore della Repubblica turca, oltre a promettere che “turchi e curdi vivranno insieme in fraternità e uguaglianza”, sottoscrivendo il trattato di Losanna del 1923 si impegnava a “garantire piena e integrale tutela della vita e della libertà per tutti gli abitanti della Turchia senza distinzione di nascita, nazionalità, lingua, origine etnica e credo religioso, […] tutti gli abitanti della Turchia saranno titolari del diritto di praticare, in pubblico come in privato, ogni fede, religione ed opinione” e ancora “nessuna restrizione sarà esercitata circa il libero uso, da parte di ogni cittadino, di qualsiasi lingua nelle relazioni private, nelle pratiche commerciali, nella stampa , […] i turchi e i curdi sono partner uguali per quanto concerne il governo della Turchia”.
Tuttavia, nonostante il trattato, Ataturk mise in atto pratiche di deportazione, occupazione e azzeramento dell’identità culturale che di lì a poco in Italia sarebbero state attuate nei confronti del popolo slavo. I curdi infatti, sono oggetto di un processo di assimilazione da parte dello Stato turco, attraverso deportazioni di massa e una ghettizzazione ad oriente che impedì loro una qualsiasi forma di espressione culturale. Nel 1924 un decreto governativo mise al bando la lingua curda e di conseguenza tutte le sue scuole, associazioni, pubblicazioni e confraternite. Vennero cambiati i nomi di oltre 20.000 città curde con toponimi turchi e fu proibito alle famiglie di attribuire nomi curdi ai figli. Questi provvedimenti, tuttora in vigore, hanno portato a casi eclatanti come quello di Serafattin Elci, Ministro dei lavori pubblici della Turchia tra il 1978 e il 1979, processato e incarcerato solo per aver affermato: “Io sono curdo”.
La situazione precipita negli anni Novanta. Soltanto nel 1994-1995 le autorità turche perseguono penalmente 15 membri del parlamento che si erano fatti portavoce delle rivendicazioni curde; 23 redattori di testate impegnate nella questione vengono assassinati dallo Stato e stando ai dati dell’associazione per i diritti umani, IHD, “nel corso del 1994 sono arrestate 14.473 persone, 328 delle quali scomparse prima del rilascio; sono registrate 298 esecuzioni extragiudiziarie, alle quali vanno aggiunti 192 omicidi di natura sospetta; 458 sono le morti di civili provocate dai militari turchi e 574 i civili feriti.”
Del 1998 è il caso di Dino Frisullo. L’attivista comunista pugliese il 21 marzo, durante le celebrazioni del Newroz (il capodanno curdo) viene arrestato per “aver istigato all’odio e all’inimicizia la gente, sulla base di differenze razziali e regionali”. Dopo un mese di prigionia e mobilitazioni di solidarietà in tutto il mondo, al processo del 28 aprile viene “graziato” senza poter far più ritorno in Turchia. Sul finire degli anni Novanta, un barcone di profughi curdi giunto a Brindisi ringrazierà Dino per tutto l’impegno profuso nella lotta di liberazione del popolo curdo, riportando sulla fiancata della stessa barca la scritta “Frisullik”.
Il clima di negazione sistematica e di violenza nei confronti della questione curda porta alla nascita del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, alla fine degli anni Settanta. Di matrice ideologica marxista, da piccolo movimento studentesco si trasforma in partito di massa negli anni Novanta, arrivando a contare 400 mila militanti. Il partito, messo al bando ed in seguito dichiarato organizzazione terrorista dell’Occidente, ha come suo fine la liberazione del popolo curdo vittima del colonialismo e titolare del diritto all’autodeterminazione. Il PKK ha imbracciato la lotta armata nel momento stesso in cui Ankara ha chiuso ogni tipo di dialogo ed ha agito con violenza, ovvero a partire dal 1984.
Nel 2012 con lo scoppio della guerra civile siriana, le popolazioni curde nel nord della Siria (Rojava) hanno dato vita ad un’esperienza di autogoverno democratico basato sull’eguaglianza sociale e di genere dal nome di Confederalismo Democratico. Questo nuovo modello di società ha dato la possibilità ai popoli dell’area di liberarsi da oppressione e discriminazioni di natura etnica, linguistica e religiosa. Nel 2014, a seguito della nascita del sedicente Stato Islamico, le milizie curde di uomini e donne dello YPG e YPJ insieme alla coalizione delle Syrian Democratic Forces (SDF) sono riuscite dopo un’estenuante lotta durata 3 anni a ridimensionare ed in seguito sconfiggere il califfato a Raqqa, sua ultima roccaforte. Nonostante il ruolo centrale delle forze curde nella lotta contro il fascismo di matrice islamica, nel gennaio del 2018 l’esercito turco ha invaso Afrin, nel Rojava, attaccando non solo il nuovo modello di società praticato ma puntando anche a ridimensionare le ambizioni curde, tanto in Siria quanto in Turchia. A seguito dell’invasione infatti, militari turchi coadiuvati da ex miliziani dello Stato islamico hanno ucciso oltre mille persone, principalmente civili, stabilendosi nell’area attorno ad Afrin e dando vita ad un’operazione di ingegneria demografica che ha come fino quello di ridurre la presenza curda nel nord della Siria.
L’epilogo finale è rappresentato dalla conversazione telefonica avvenuta domenica scorsa tra Trump ed Erdogan. Gli Stati Uniti hanno dato via libera alla Turchia per una nuova operazione militare con lo scopo di eliminare le ultime resistenze dell’ex Stato Islamico. Tale operazione, come sta accadendo nelle ultime ore, ha lo scopo di offrire alla Turchia l’occasione di attaccare il Rojava e distruggere il Confederalismo democratico oltre a produrre un nuovo assoggettamento delle popolazioni della regione. Le SDF che racchiudono al proprio interno curdi, arabi, armeni, assiri e turkmeni hanno dichiarato: “Come forze democratiche siriane, siamo determinate a difendere la nostra terra a tutti i costi”. Nella nottata di ieri, come conseguenza della decisione scellerata degli Stati Uniti, cellule dormienti dell’ex Stato islamico, rinvigorite dal ritiro delle truppe statunitensi e sostituite da quelle del proprio alleato turco, hanno compiuto una serie di attacchi a Raqqa. Attraverso numerose esplosioni ed incursioni una cinquantina di jihadisti hanno preso il controllo di edifici strategici. Nel pomeriggio di mercoledì 9 ottobre la Turchia ha ufficialmente avviato l’operazione “Primavera di Pace”, bombardando gli insediamenti civili curdi nei pressi del confine turco-siriano. Ingenti sono i rischi per una nuova emergenza profughi e per la possibilità che i numerosi miliziani dello Stato islamico imprigionati nel Rojava possano tornare in libertà.
Pietro Pasculli (dipartimento esteri Giovani Comunisti)