Era la notte del 26 dicembre 1997 quando l’Ararat sbarcò sulle coste ioniche della Calabria. La grande nave battente bandiera turca e carica di profughi curdi, era stata costruita più di un secolo prima in Scozia e finita dopo varie peripezie nelle mani della marina dell’Impero ottomano. Ottocentoventicinque persone, prevalentemente curde, provenienti da Turchia, Libano, Egitto e Afghanistan sbarcarono in Italia quella notte.
È impossibile comprendere la questione curda, complessa e pregna di collegamenti con il Bel Paese, senza voler risalire alla storia del movimento socialista e comunista internazionale, passando per la storia d’Italia, quella dei governi degli anni ’90 fino, ebbene sì, a quella semi-mitica del diluvio universale. Ararat è il nome del monte, riportato nella Bibbia, dove l’arca di Noè sarebbe approdata dopo il diluvio universale ma c’è di più; il diluvio universale è riportato, ben prima che nell’Antico Testamento, nella prima epopea che la storia dell’umanità abbia partorito: quella di Gilgamesh. È proprio dall’epopea di Gilgamesh, da quelle terre tra il Tigri e L’Eufrate che la storia dei curdi inizia. “Eredi di Gilgamesh” è il capolavoro che ci ha regalato il leader del PKK, il Partito curdo dei lavoratori: Abdullah Ocalan.
La terribile e assurda storia di Ocalan è famosissima ma molti giovani non la conoscono anche perché è strettamente legata alla storia del nostro Paese, alla storia del nostro partito e, nel bene e nel male, alla storia del socialismo europeo e dell’Europa stessa. L’Europa che non ha saputo salvare Ocalan dalle grinfie omicide del “fascismo” e che per tale ragione oggi vive ancora rinchiuso nella prigione di massima sicurezza dell’isola di Imrali in Turchia. Ho la fortuna di conoscere di persona una testimone diretta dell’incontro che avvenne tra Ocalan e i funzionari della Repubblica Italiana. Erminia Emprin, ai tempi senatrice di Rifondazione Comunista, racconta del nostro compagno Ramon Mantovani, quando il 12 novembre del 1998 era a Roma ad aspettare Abdullah Ocalan che con un volo da Mosca stava finalmente arrivando in Italia dove l’allora governo D’Alema avrebbe offerto protezione e asilo. O almeno così si sperava. Il governo D’Alema invece si fece intimidire dalla minaccia del boicottaggio turco delle merci italiane, rimangiandosi la parola. Ocalan dovette abbandonare l’Italia dopo 65 giorni in cui la vicenda occupò la cronaca nazionale. Atterrato in Kenya, a Nairobi, i servizi segreti turchi lo arrestarono e fu la fine di ogni speranza di libertà.
Per avere un primo approccio con la questione curda in Italia basterebbe fermarsi a parlare con i gestori di diversi negozi o alimentari delle nostre città, vi diranno che sono turchi, iracheni ma solo se spenderete più tempo con loro vi diranno che sono curdi turchi e curdi iracheni; solo se spenderete ancora più tempo potrete capire il loro livello di istruzione, la loro alta considerazione del ruolo delle donne nella rivoluzione, i loro orientamenti socialisti e comunisti. Dallo sbarco dell’Ararat in poi molti curdi hanno raggiunto le nostre coste, qualcuno non c’è riuscito come i due bimbi di origine curda Ayald e Alan, quest’ultimo tristemente noto per l’immagine del corpicino riverso sulla battigia che ha fatto il giro del mondo. Il nome di Alan Kurdi è diventato poi lo stesso di un’imbarcazione che si è occupata di salvare i profughi dalle acque del Mediterraneo.
I curdi continuano a batteri per la loro causa, per l’autodeterminazione, per riottenere quella semi-autonomia che già prima degli accordi franco–britannici di Sykes-Picot (1916) gli era riconosciuta. È assurdo pensare come un popolo dalla storia antichissima, che affonda le radici nella storia sumera, dove per la prima volta si elaborò una forma di Stato, oggi viva priva di un riconoscimento statuale al pari di esiliati in patria divisi tra Turchia, Iraq e Siria con il conseguente inimicarsi dei governi dei tre paesi che hanno sempre osteggiato la causa curda.
L’imperialismo non si è mai fermato e anzi ha avuto un ruolo fondamentale nello sciagurato marzo 2011 quando gli USA, concedendo aiuto all’opposizione di Assad, forze islamiste radicali sotto mentite spoglie, diedero inizio alla più terribile guerra e tragedia del mondo contemporaneo: la guerra civile siriana. I “democratici” americani erano gli stessi che mentre foraggiavano lo Stato Islamico contro la Siria di Assad, avevano già da tempo inserito diverse organizzazioni sociali e politiche dei curdi nella lista delle “organizzazioni terroristiche”. Nonostante questo, nel corso della guerra si sono ritrovati a supportare le milizie curde come unico argine nella lotta contro lo Stato Islamico, per poi colpirli alle spalle come è accaduto. I curdi non hanno mai fatto mistero del fatto che il supporto americano sarebbe svanito prima o poi, ma gli USA di Trump hanno preferito giocare sporco abbandonando i curdi al loro destino e preferendo assecondare i progetti di Erdogan e favorendo la ricomposizione con la Turchia all’interno della NATO.
La questione curda e le vicende recenti contengono ancora una volta non solo le contraddizioni di cui che ha relegato il Vicino Oriente è ricco e che discendono proprio da trattati e decisioni prese tra Ottocento e Novecento dagli Stati imperialisti europei. La vicenda di Ocalan invece racchiude l’ipocrisia della politica italiana che si è lavata le mani di fronte alla possibilità di divenire un’avanguardia in ambito internazionale a favore della questione curda, così come oggi ha preferito bloccare le future cessioni di armi alla Turchia e non i contratti già in corso d’opera. La causa curda certamente grida vendetta, noi proveremo a dargli quanto meno giustizia.
Michele Ramadori (coordinamento nazionale GC) e Vincenzo Colaprice (responsabile esteri GC)