Nelle ultime settimane la Bielorussia ha occupato ampi spazi all’interno dei giornali e dei notiziari televisivi. Lo scontro tra l’opposizione e il presidente Lukashenko ha assunto caratteri inediti nella storia recente del Paese per via delle dimensioni di massa che stanno caratterizzando le proteste.
La Bielorussia è una comunità nazionale relativamente giovane, che ha dovuto convivere nei secoli con le più forti influenze culturali, linguistiche e religiose di matrice polacca, lituana e russa. La stessa Bielorussia in quanto entità statale autonoma si è affermata poco più che un secolo fa, sorgendo nel contesto della Prima guerra mondiale come uno tra i tanti strumenti che l’Impero tedesco di Guglielmo II cercò di adoperare sul fronte orientale per indebolire l’Impero zarista. L’antica strategia del divide et impera.
Si tratta di eventi che permettono la sedimentazione di contraddizioni all’interno di una comunità nazionale e che riemergono in contesti di crisi politica, come quella che sta attraversando adesso la Bielorussa. Non si può tuttavia non tenere conto del profondo legame che intercorre tra Bielorussia e Russia ancora oggi, cementato dagli oltre sessant’anni di convivenza pacifica sotto la bandiera comune dell’Unione Sovietica e non si può non menzionare il grande contributo della resistenza bielorussa durante gli anni di occupazione nazista. Elementi che aiutano ad articolare con più precisione lo scenario storico e culturale su cui si muove un Paese in cerca di futuro.
È doveroso, a fronte del crescente spazio che le notizie da Minsk si ritagliano nella nostra quotidianità, provare a riflettere su quanto accade in Bielorussia nelle ultime settimane. Come Giovani Comunisti/e non possiamo che assumere una posizione nettamente contraria a qualsiasi tipo di interferenza straniera o sovranazionale (UE e NATO) rispetto a quanto accade in Bielorussia, opponendoci alle sanzioni e alle misure internazionali annunciate per forzare gli esiti della crisi bielorussa. Il futuro della Bielorussia può solo essere deciso dal suo popolo, come dichiarato anche dalla Federazione Mondiale della Gioventù Democratica (FMGD-WDFY), e in questo ci riconosciamo a pieno.
Per affrontare una riflessione ampia, che sgombri anche il campo da alcuni falsi miti diffusi in Italia da un approccio acritico alla questione bielorussa, abbiamo intervistato il compagno Pavel Katarzheuski, membro del Comitato Centrale del Partito della Sinistra Bielorussa “Un Mondo Giusto”, fondato nel 1991 col nome di Partito dei Comunisti Bielorussi, erede diretto del Partito Comunista di Bielorussia che dal 1918 al 1991 ha retto la Repubblica Socialista Sovietica Bielorussa. Pavel è anche membro del Komsomol, l’organizzazione giovanile. Nel 2018 si è laureato in scienze politiche presso l’Università Statale Bielorussa e nel 2020 ha concluso il suo master con una tesi sull’evoluzione ideologica dei partiti comunisti europei.
Il suo partito è al momento la principale forza extraparlamentare di sinistra in Bielorussia. Alle prime elezioni nel 1995 il Partito della Sinistra Bielorussa (all’epoca Partito dei Comunisti Bielorussi) ha ottenuto ben 43 seggi su 260, affermandosi come prima forza politica in Parlamento, seguita da altri 15 partiti e 95 indipendenti. Ben presto Lukashenko, eletto presidente nel 1994, entrò in conflitto con il Parlamento fino a giungere a due referendum popolari, nel 1995 e 1996, che nonostante le accuse di brogli ampliarono i poteri del presidente garantendo la possibilità di sciogliere il Parlamento e di estendere più del previsto il proprio mandato. Fu inoltre confermata la pena di morte e reintrodotte alcune modifiche puramente simboliche che richiamavano il recente passato sovietico. La nuova legge elettorale approvata di lì a poco finì per polverizzare il gran numero di partiti presenti in Parlamento. Alle elezioni del 2000 su 110 seggi ben 94 furono assegnati agli indipendenti, solo sei partiti restarono in Parlamento spartendosi i sedici seggi restanti. Di questi sei furono assegnati al Partito Comunista Bielorusso, creato nel 1996 e sostenitore della leadership di Lukashenko. Da questo momento il Partito dei Comunisti Bielorussi si ritrovò fuori dalle istituzioni e fu costretto a cambiare nome in Partito della Sinistra Bielorussa nel 2009.
Poche settimane fa Pavel è stato arrestato con altri manifestanti mentre era in piazza assieme al suo partito. «È successo il 10 agosto, io e i miei compagni stavamo andando a una protesta. Quel giorno, Internet è stato bloccato in tutto il Paese e non sapevamo che il luogo della protesta era cambiato. La polizia si è insospettita e così ci ha trattenuti. Poi ci hanno picchiato e ci hanno caricato su un furgone cellulare. Devo dire che quel giorno la polizia ha compiuto arresti di massa, fermando anche passanti o persone che stavano tornando a casa dal lavoro o erano uscite per un paio di minuti. Per esempio, ho parlato con ragazzi ai quali hanno sfondato i vetri dell’auto mentre erano fermi a un semaforo, e sono stati tirati fuori dalla macchina dalla polizia. I documenti del mio arresto dicono che sono stato fermato con un gruppo di persone mentre gridavo slogan durante una manifestazione di protesta. Non nascondo il fatto che avevamo programmato di andarci, ma semplicemente non abbiamo avuto il tempo di arrivarci e al momento del mio arresto stavamo semplicemente camminando in un parco. Non stavamo facendo nulla di male, ma quando hanno trovato le nostre bandiere rosse tutto è diventato chiaro per loro».
Quanto è durata la tua prigionia? Come sei stato trattato in prigione?
«Secondo le leggi bielorusse, il tuo arresto amministrativo comincia nel momento in cui sei detenuto. Siamo stati portati in una delle stazioni di polizia a Minsk. Ci siamo arrivati tramite un furgone cellulare in cui c’erano cinque persone, anche se è stato progettato per due. È stato un incubo. I poliziotti si sono rifiutati di dirci dove eravamo. Sono stato sdraiato nel cortile della stazione di polizia all’aria aperta per 12 o 14 ore con le mani legate e la faccia a terra. Era come un campo di concentramento. Le persone sono state picchiate quando hanno chiesto acqua o medicine, e la polizia ha minacciato di stupro le donne detenute. Ho visto come un uomo con un rene solo è stato picchiato fino a quando non ha smesso di urlare. Picchiano le persone anche per aver tenuto la faccia in giù a terra.
Poi siamo stati portati nella prigione di Zozdina, perché le prigioni di Minsk erano piene. C’erano circa 20 persone in un furgone cellulare da 8-9 posti a sedere. Abbiamo viaggiato per un’ora e mezza, faceva molto caldo e la gente stava soffocando. Un ragazzo ha improvvisamente avuto le convulsioni, schiumando dalla bocca. Non hanno nemmeno chiamato un dottore e non sappiamo cosa gli è successo».
Con quali accuse ti hanno arrestato? L’arresto influenzerà la tua vita futura?
«Come ho già detto, gli agenti di polizia in abiti scuri e senza segni di identificazione hanno arrestato tutti coloro che passavano. Non si sono presentati né hanno mostrato alcun documento. Il processo in tribunale si è tenuto in un carcere a Zozdina, ed è durato solo 7 minuti. Il giudice ha deciso che i documenti relativi al mio arresto supportavano pienamente la mia colpevolezza. Sono stato accusato di aver violato la legge sulla sicurezza pubblica. Secondo la polizia, ho camminato con un gruppo di persone e ho gridato “Viva la Bielorussia, vogliamo cambiamenti!” ma in realtà non ho nemmeno avuto il tempo di arrivare al luogo della manifestazione.
Il fatto stesso di essere arrestati per il semplice attivismo politico influisce notevolmente sul desiderio di vivere una vita tranquilla in Bielorussia. A causa della mia attività politica, è molto difficile trovare un lavoro, dato che non è la prima volta che sono stato sottoposto a misure repressive. È molto probabile che oltre alla mia attività di ricercatore io debba imparare una nuova professione».
Parliamo della situazione attuale in Bielorussia. Cosa ha scatenato proteste così forti? È solo a causa del risultato elettorale?
«I risultati delle elezioni e la spavalderia di Lukashenko sono stati il catalizzatore delle proteste, ma non sono stati la ragione principale. La richiesta di democrazia è radicata nelle esigenze sociali. Il tenore di vita dei lavoratori continua a deteriorarsi, il governo sta gradualmente distruggendo benefici e garanzie sociali e i cittadini non possono influenzare il processo decisionale né a livello locale né a livello nazionale. Ciò è aggravato dal fatto che le autorità vivono una vita fatta di lussi e privilegi e lo danno a vedere.
Anche l’atteggiamento disgustoso delle autorità durante la pandemia di Covid-19 ha avuto un ruolo importante. La falsificazione delle statistiche sui numeri di persone ammalate e morte, la denigrazione delle vittime del Covid e l’irresponsabile svolgimento di eventi di massa da parte delle autorità sono tutti fattori che hanno minato il consenso del popolo verso le istituzioni, portandolo al minimo storico».
Qual è la tua opinione dei leader dell’opposizione liberale? Personaggi come Svetlana Tikhanovskaya sono particolarmente elogiati dai media occidentali che chiaramente aspirano ad una distruzione delle istituzioni bielorusse e all’avvento di una stagione neoliberista.
«È chiaro che Svetlana Tikhanovskaya e coloro che ha unito intorno a lei non sono personaggi che hanno a che fare con la sinistra. Il nostro partito ha boicottato le ultime elezioni invitando le autorità a rimandarle per via dell’emergenza coronavirus. Purtroppo questa è stata una decisione sbagliata, perché l’epidemia passerà, e la dittatura non scomparirà da sola.
Tuttavia, devo dire altre due cose. In primo luogo, Tikhanovskaya e il suo team cercano di imitare e adoperare una retorica attenta al sociale, formulando alcune dichiarazioni di natura socialdemocratica come “una nuova Bielorussia per i lavoratori”. Questo non deve ingannarci, ma aiuta a comprendere quale sia l’inclinazione dell’elettorato di protesta a cui si rivolge. In secondo luogo, l’importanza conferita ai leader liberali è un po’ esagerata. Le proteste attuali sono caratterizzate da un significativo livello di decentramento e da un alto livello di auto-organizzazione. Se al posto della Tikhanovskaya il principale candidato dell’opposizione fosse uno sgabello, questo guadagnerebbe ancora più voti di Lukashenko».
Come ha risposto la classe operaia alla protesta? Quali posizioni hanno assunto i sindacati?
«La classe operaia ha alzato la voce per la prima volta dagli anni Novanta ad oggi. Gli scioperi hanno avuto luogo in molte fabbriche, i lavoratori di Minsk di uno stabilimento che produce trattori hanno cacciato Lukashenko quando è andato a parlare con gli operai. Gli scioperi continuano tra i minatori della Belaruskali. In tutta la Bielorussia vengono organizzati fondi per sostenere i lavoratori in sciopero. E questi sono solo alcuni esempi! Anche i lavoratori della televisione di Stato hanno scioperato e Lukashenko è stato costretto ad assumere specialisti russi.
Lukashenko, parlando a Grodno, ha annunciato la chiusura delle imprese in cui si sciopera. Alcuni membri del comitato nazionale che coordina gli scioperi sono stati rapiti dai servizi segreti, alcuni sono stati intimiditi o licenziati. Nelle imprese si lavora come se si fosse in un carcere di alta sicurezza, la libertà di movimento dei lavoratori è limitata e i controlli agli accessi sono stati aumentati.
I sindacati ufficiali legati allo Stato hanno sostenuto Lukashenko nelle presidenziali ma perfino loro sono stati costretti ad ammettere le violenze della polizia contro i lavoratori e a chiedere una soluzione pacifica del conflitto. I sindacati indipendenti hanno sostenuto pienamente le richieste dei lavoratori in sciopero e sono molto orgoglioso che il nostro Partito abbia lavorato a stretto contatto con i sindacati indipendenti in tutti questi anni e che molti dei nostri compagni siano anche attivisti sindacali. Devo dire che è stata la classe operaia a raccogliere le richieste sociali che la sinistra stava cercando di introdurre nell’agenda democratica nazionale. Questo si chiama coscienza di classe e funziona».
C’è spazio per la sinistra radicale nelle proteste? È possibile imporre punti e slogan programmatici socialisti?
«Fin dall’inizio delle proteste, ho insistito sulla partecipazione attiva della sinistra. E questa volta la sinistra non si sente estranea nelle piazze. Sì, la gente sta combattendo contro la mancanza di democrazia e per nuove elezioni giuste, ma anche per difendere i diritti sociali e un tenore di vita dignitoso. Il fatto che i lavoratori siano coinvolti nella lotta parla da sé. Chiedono contemporaneamente di smantellare la dittatura e allo stesso tempo di non privatizzare le imprese statali, di cancellare l’ingiusto sistema contrattuale in vigore ma di garantire la libertà delle organizzazioni dei lavoratori indipendenti. Tuttavia, va notato che il movimento operaio è ideologicamente eterogeneo. Il compito della sinistra bielorussa è quello di agitare e organizzare la classe operaia, è necessario spiegare che dopo la caduta del regime, la lotta non sarà finita ma solo cominciata.
Pochi giorni prima di finire in prigione, ho scritto un lungo articolo sulla necessità per tutte le forze di sinistra di sostenere la lotta per la democrazia e dopo essere stato rilasciato dal carcere, ho visto con grande soddisfazione che la protesta stava guadagnando slancio e anche i partiti più settari di sinistra che inizialmente hanno criticato le mie posizioni alla fine in un modo o nell’altro si sono uniti al movimento di protesta.
Sì, abbiamo rischiato un po’ quando abbiamo protestato per la prima volta con la bandiera della Repubblica socialista sovietica bielorussa, urlando slogan socialisti a favore della democrazia, dei lavoratori, degli oppressi, per il rilascio dei prigionieri politici, nonché contro il sistema contrattuale di assunzione e contro l’innalzamento dell’età pensionabile. La presenza della sinistra è stata accolta con favore dai manifestanti che si oppongono a Lukashenko e percepiscono la Tikhanovskaya solo come un candidato tecnico. La cosa migliore che ho sentito in questo periodo è stata: “finalmente i comunisti sono con il popolo!”. Inoltre, non ho visto alcun rifiuto dei simboli comunisti durante le proteste. La specificità di queste proteste risiede anche nel fatto che la gente viene a protestare contro il regime insieme alla bandiera bianco-rosso-bianco dell’opposizione democratica e con la bandiera rosso-verde dello stato.
Devo dire qualche parola sui simboli della protesta. Ad essere onesti, non mi piace questo argomento, ma voglio chiarire questa discussione. Molte persone vedono la bandiera bianco-rosso-bianco alle manifestazioni e la percepiscono come un simbolo del nazionalismo, dell’anticomunismo e quasi del fascismo. Storicamente, questa bandiera è stata disegnata da un membro del Partito Socialista Bielorusso “Hramada” durante la rivoluzione di febbraio. Dunque, storicamente, questa bandiera è un simbolo della socialdemocrazia bielorussa. Nei primi anni dell’epoca sovietica, si provò a rendere lo stemma in bianco-rosso-bianco, ma vinse un’altra opzione. Certamente, questi simboli hanno anche un lato oscuro: la bandiera bianco-rosso-bianco è stata utilizzata dai collaboratori nazisti durante l’occupazione ma per diversi anni dopo il crollo dell’Unione Sovietica questa era diventata la bandiera dello Stato. Dalla metà degli anni Novanta è stata più associata all’opposizione liberale e nazionalista».
In Italia, varie organizzazioni comuniste e di sinistra temono che lo scenario bielorusso possa trasformarsi in un nuovo Euromaidan con l’apparizione di forze di estrema destra e lo scivolamento del paese nelle politiche neoliberali dell’UE. Cosa ne pensi?
«Devo dire che coloro che non riescono a distinguere tra l’Ucraina nel 2014 e la Bielorussia nel 2020 sono persone che non hanno del tutto familiarità con la dialettica o con i più basilari metodi di analisi. Le proteste in Bielorussia sono di natura completamente diversa. In primo luogo, se la ragione dell’Euromaidan fu la questione della collocazione internazionale ucraina e dell’associazione con l’Unione Europea, le proteste in Bielorussia riguardano unicamente l’equità delle elezioni. Oppure qualcuno di sinistra osa dire che sia un bene quando un regime borghese-autoritario come quello di Lukashenko falsifica le elezioni?
In secondo luogo, in Bielorussia non c’è un forte conflitto tra le regioni occidentali e orientali e anche questo è importante. L’attuale movimento di protesta sta cercando di unire il maggior numero possibile di persone e si appella anche a coloro che, a causa delle circostanze, sono costretti a servire il regime. Inoltre, la protesta non ha leader unici ed è abbastanza decentralizzata. La protesta bielorussa ha anche una composizione sociale molto diversa. Queste proteste non sono un divertimento della classe media, come le autorità bielorusse vogliono dipingerle, ma vedono l’ampia partecipazione attiva del proletariato industriale e questa è una differenza sostanziale con i fatti ucraini.
In fin dei conti bisogna anche dire che qualsiasi protesta democratica o sociale può trasformarsi in un colpo di stato di destra e questo accade spesso quando la sinistra tradisce i lavoratori».
Quali protezioni sociali tutelano oggi i lavoratori bielorussi? Potrebbero andare perdute con la fine dell’era di Lukashenko?
«I lavoratori bielorussi godono di un sistema che li rende schiavi dei contratti a breve termine. I lavoratori non possono lasciare la propria occupazione senza il consenso del datore di lavoro e il datore di lavoro può rifiutarsi di rinnovare il contratto alla scadenza senza giusta causa. Funziona così quasi ovunque oggi. Inoltre, i lavoratori bielorussi soffrono dell’assenza di sindacati indipendenti nelle fabbriche. I sindacati controllati dallo Stato proteggono i datori di lavoro pubblici e privati, ma non i lavoratori dipendenti. Queste organizzazioni anti-operaie costringono i lavoratori a sostenere la “linea generale” di Lukashenko. Non vorrei esagerare, ma la Federazione dei sindacati della Bielorussia, fedele al regime, ha davvero caratteristiche comuni con il Fronte Tedesco del Lavoro che esisteva in Germania sotto il nazismo. L’aumento della disoccupazione, l’adozione di politiche neoliberiste e il calo dei redditi sono fattori che potrebbero accompagnare il cambiamento politico già in atto».
Che cosa risponderesti a chi in Italia considera Lukashenko un comunista e la Bielorussia uno Stato socialista?
«Chi difende Lukashenko da sinistra molto spesso dice che se lasciasse la presidenza, tutte le proprietà statali verrebbero privatizzate. Questa argomentazione non funziona per il semplice motivo che lo stesso Lukashenko fa un ottimo lavoro di privatizzazione. In Bielorussia, al momento, circa il 43% dei dipendenti lavora nel settore pubblico, ma nei prossimi cinque anni questa cifra diminuirà del 10-15%. Ad esempio, tra il 2016 e il 2017 il numero di persone occupate nel settore pubblico è calato del 2%. Inoltre, i lavoratori non sono i proprietari delle loro imprese e non controllano la proprietà statale, dal momento che non ci sono libere elezioni e che le organizzazioni indipendenti dei lavoratori sono soppresse dal governo.
A metà dello scorso decennio, Lukashenko ha anche abolito i sussidi per i cittadini bielorussi lavorarono per spegnere l’incendio e sigillare il sito di Chernobyl dopo il disastro del 1986. L’eliminazione dei sussidi è avvenuto sotto uno slogan puramente liberale: “dalla protezione sociale allo sviluppo sociale”. Ovvero una transizione dalla protezione sociale all’abbandono sociale.
Un tentativo di introdurre nuove tasse per i disoccupati ha testimoniato la natura neoliberista della politica economica in Bielorussia. Questo tentativo voleva spingere le persone a farle lavorare con salari ancora più bassi, in condizioni di lavoro terribili e con una totale impossibilità di difendere i loro interessi. Non sorprende che alcuni rappresentanti della borghesia elogino molto questa misura economica.
Per quanto riguarda il sistema politico, Lukashenko e la sua cricca di burocrati non solo hanno impediscono libere elezioni, ma hanno anche trasformato il Parlamento e i consigli locali in una semplice cornice scenografica. Lukashenko nomina personalmente ministri, giudici, governatori e sindaci. Nel 1996 Lukashenko distrusse il Consiglio Supremo (la Camera alta del Parlamento, ndr) democraticamente eletto, dove la più grande fazione di opposizione era la fazione dei comunisti e degli agrari, vale a dire la fazione del nostro partito, che a quel tempo era chiamato Partito dei Comunisti Bielorussi. I propagandisti di Stato hanno poi detto che l’abolizione del Consiglio Supremo era necessaria poiché si trattava di “vecchi” resti socialisti. Tra l’altro, poche persone amano ricordare che Lukashenko è salito al potere con la retorica di un populista di ultra-destra.
Pensi che la Bielorussia sarà trascinata nella sfera di influenza della NATO se l’opposizione vincerà?
«Probabilmente questa discussione sarà avviata, ma penso sia improbabile che accada dal momento che la maggior parte della popolazione è a favore di un partenariato con la Russia. Per quanto riguarda la mia opinione, ritengo che sia necessario lottare per l’attuazione della disposizione costituzionale sullo status neutrale e non allineato della Bielorussia».
Che ruolo sta svolgendo la Russia nella situazione bielorussa?
«Durante l’intera campagna elettorale, Lukashenko ha accusato la Russia di interferire nelle elezioni bielorusse e ha cercato in ogni modo di ricattare la Russia con il suo comportamento isterico. Penso che gli ex rappresentanti dell’establishment, Viktor Babariko e Valery Tsepkalo, che hanno cercato di diventare candidati alla presidenza, avessero alcuni legami con la Russia, e questo non è sorprendente. Ma vale anche la pena ricordare che la classe dirigente in Russia non è monolitica e ha i diversi interessi. Di conseguenza, Lukashenko ha ridotto la retorica anti-russa e ha iniziato a cercare nemici esterni in Occidente, non appena Putin si è congratulato con lui per la vittoria.
Il nostro partito, a sua volta, ha inviato un appello ai cittadini, ai partiti politici e agli organi statali della Russia. Il nostro partito ha dichiarato che il riconoscimento delle elezioni da parte della Russia può portare ad un aumento dei sentimenti anti-russi, e il principale nemico delle relazioni bilaterali Bielorussia-Russia è il cittadino Lukashenko. Ed è vero, come si relaziona il popolo con lo stato vicino che sostiene il dittatore che detiene il potere con metodi fascisti? La risposta è ovvia».
Quali sono gli obiettivi immediati del vostro partito?
«Il nostro partito in questa fase chiede nuove elezioni presidenziali, la fine della repressione poliziesca e il rilascio dei prigionieri politici. Anche se queste richieste sono diventate particolarmente urgenti negli ultimi giorni, durante i mesi precedenti abbiamo anche chiesto il ripristino delle tutele sociali, una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e la garanzia della libera attività per i sindacati indipendenti».
Gli unici che possono decidere il futuro della Bielorussia sono gli stessi cittadini bielorussi. Cosa pensi dell’interferenza degli Stati europei?
«È assolutamente chiaro che il movimento popolare di massa non è stato causato da forze esterne, ma dal deterioramento della situazione socio-economica e dall’attacco alle libertà democratiche. La verità è che se le forze di sinistra e progressiste sono deboli e incapaci di guidarla, allora gli imperialisti dell’Est e dell’Occidente cercheranno di approfittare della situazione. Questa situazione è un classico per tutte le rivoluzioni e abbiamo visto qualcosa di simile durante la rivoluzione russa del 1917.
Sostengo pienamente alla posizione del Partito della Sinistra Europea a questo proposito. La repressione deve essere fermata, le libertà democratiche devono essere ripristinate, nuove elezioni devono essere tenute senza interferenze esterne».
Come immagini la Bielorussia tra dieci anni?
«Non sono un grande ottimista e penso che ci sarà una lunga e dura lotta. Ma voglio credere che per la prima volta dopo tanto tempo mi sbaglio e tra qualche anno la Bielorussia diventerà un Paese dove ci saranno sindacati forti e un governo di sinistra progressista, dove la gente non avrà paura di camminare per le strade a causa della violenza della polizia, dove lavoratori ,insegnanti, studenti, agricoltori potranno partecipare liberamente alla vita politica per decidere insieme del loro Paese».