Quest’anno è stato un 25 Aprile particolare, perché particolare è il contesto nazionale ed internazionale a cui stiamo assistendo.
In un Italia sempre più orientata a destra e in balia dell’egemonia culturale di una destra neofascista che può, dopo 80 anni, può dare sfogo alle sue più abiette pulsioni ed in un mondo che fatica a concepire un genocidio in atto, questo 25 Aprile assume dunque significati ulteriori a quelli che già porta con sé.
Nel secondo anno di Governo Meloni vediamo già come il tentativo di egemonia culturale stia avendo buoni effetti. Il dibattito si è oggettivamente spostato a destra e quei diritti che si pensavano essere acquisiti e consolidati ormai da tempo vengono rimessi pervicacemente in discussione. Un pezzo alla volta quel complesso di prerogative soggettive e collettive viene eroso dall’azione legislativa e culturale, in un processo sì lento ma che sembra inesorabile. In Italia si sta vivendo la reazione, quella vera e propria, quella che tende a non fare prigionieri. In una Italia che sembra quindi una nuova Vandea, si aggiunge anche la tematica del genocidio del popolo palestinese; genocidio che alcune frange cosiddette antifasciste vorrebbero eliminare dalle rivendicazioni e dalle parole d’ordine del 25 Aprile.
Questa operazione di rimozione di un’esperienza resistenziale è quanto di più lontano dallo spirito del 25 Aprile e dalla sua storia. Nel corso del tempo, in un’ottica di dimidiazione del portato anche rivoluzionario della Resistenza, abbiamo assistito ad un nascondere cosa la resistenza sia effettivamente stata: un conflitto armato che ha provocato migliaia di vittime. Spesso si tende a metterlo in secondo piano, con la voglia di portare la Resistenza Italiana più sul piano della Resistenza civile “ a la “ Gandhi, ossia un qualcosa totalmente privo di connotazioni di classe.
Ma non dobbiamo dimenticarci come tanti partigiani e tante partigiane al fine di liberare il loro paese abbiano dovuto prendere in mano le armi ed utilizzarle contro il nemico.
Ebbene questa operazione di “revisione” trova il suo massimo portato nel voler escludere quelle voci di resistenza che si alzano dalla Palestina occupata dall’invasore sionista.
E quando qualcuno prova a raccontare cosa sta succedendo viene tacciato come “amico di Hamas”, senza avere contezza della storia della resistenza palestinese.
Essere contrari alla resistenza palestinese vuol dire essere contrari ad Al-Fatah, al FPLP ed ad altre formazioni che si rivedono nella sinistra più o meno rivoluzionaria.
L’esperienza resistenziale italiana non deve essere vissuta come un feticcio, solo come un ricordo ma anche come una guida politica e di prassi.
Solo così potremo rendere veramente omaggio ai tanti compagni e compagne che hanno sacrificato la loro vita in nome degli ideali di libertà e per liberare il nostro paese dalla barbarie nazi-fascista.
Che sia un 25 Aprile di lotta.
Ora e sempre, Resistenza!