Ieri cadeva l’anniversario di morte di Franco Basaglia, padre di una concezione antiautoritaria e libertaria della
psichiatria, fautore delle leggi che abbatterono i manicomi e non solo. Il ricordo di una figura storica come la
sua deve indicarci un esempio di militanza e di lavoro intellettuale capace di superare il presente, le sue
devianze, il realismo e pragmatismo che fanno muro a qualsiasi immaginazione dell’alternativa. Sempre più
spesso, però, la celebrazione dello Psichiatra di San Polo consta nella collezione d’eventi che lo hanno portato
alla redazione della omonima legge, la n°180/78. Noi Giovani Comunistɜ, invece, pensiamo che tutta la storia
vada raccontata e compresa.
Crudel Paese, il Belpaese
Quell’Italia era (ed è tuttora) una realtà contraddittoria: provinciale e prolifica, come lo era la sua borghesia
dominante. Non è un caso che un pensatore ed attivista come lui giunse ad espugnarne l’istituzione simbolo.
Il mondo accademico già agli albori del secolo aveva prodotto approcci innovativi e libertari che prendevano
le distanze dalla imperante dottrina freudiana e da concezioni genetiste o comunque social-darwiniste dellə
paziente. Nel “mondo ideale”, dunque, nonostante la nostra terra avesse dato i natali a Fiamberti ed alla sua
Lobotomia Transorbitale o a Lombroso e poi alla Scuola (e Teoria) delle Élites (e fosse percorsa dalle avvisaglie
del Fascismo), già erano presenti gli antidoti necessari alla loro espugnazione, almeno nel campo psicologico
con la Psicagogia o Psicosintesi di Assagioli, anch’egli veneto. Nel mondo materiale, però, la pratica clinica era
appunto percorsa dai succitati pensieri e dalle violenze barbariche dell’istituzionalizzazione. Il punto, al
tempo, era di ripensare, di proporre e d’attuare queste idee in una riforma concreta del concetto e della
funzione della Cura e della Salute. Al contrario della narrazione ufficiale, che segna il tempo basagliano nel
movimento internazionale di cui Marcuse, Fromm, il Sessantotto in genere sono palcoscenico, asseriamo che
il corso storico ha radici molto più profonde, concrete e lavorative, teoriche e pratiche e che trovano sede nel
lento ma costante dissenso verso la violenza abilista e classista che si vide scardinare i criteri fondativi sino a
quando, per l’appunto, l’agitazione giovanile, sindacale ed intellettuale ne contestarono tutti i dogmi.
Di conseguenza, quando Basaglia accede a tal sistema, comprende appunto che il servizio sanitario è
completamente asservito a quella mentalità provinciale e borghese che discrimina o, diremmo oggi, abilizza
il paziente. Il Manicomio, quale istituzione totale e di contenimento della devianza, gli si presenta come
funzione sociologica di selezione sociale prima e di controllo psicologico della soglia fra normale ed anormale
poi, sempre più frequentemente su base di classe. Chi celebra oggi il suo famigerato “Mi no firmo”, non deve
dimenticare che l’attivismo basagliano è anzitutto rappresentato da un precedente slogan: “No al manicomio
dei poveri!”. La grande capacità del Sanpolese di associare pazienti, lavoratori sanitari e famigliari, ossia esseri
umani, di denunciare con ogni mezzo necessario e possibile la crudeltà psichiatrica e di vincere, a nostro
avviso, vanno lette “oltre”, cioè vanno pensate come il risultato di un lavoro collettivo di cui egli fu pari
promotore, che fece, in sostanza, di lui il “collettore” che unisce varie istanze: accademiche, cliniche, umane
e politiche. E se ciò è accaduto, se è stato possibile “fare l’impossibile”, come lui stesso disse, è perché la
domanda che lo mosse non lasciava scampo ad eccezioni: a cosa serve tutto questo?
Convergere le lotte ponendo una domanda
L’Italia che menava, che metteva camicie di forza, che lobotomizzava o letargizzava il paziente, era la
medesima che manganellava, reprimeva e omologava lɜ cittadinɜ in soldatini, in fascisti. Vedere, pertanto,
che quelle silenti ma violente istituzioni e che erano ingrassate di disperatɜ sotto Fascismo continuare
impunemente ad esistere, poneva dei dubbi sulla funzionalità e validità della struttura manicomiale come
cura della “malattia mentale”. Non soltanto Basaglia ne era cosciente. Testimonianze letterarie, scandali e
processi di malpractice clinica, portarono la sua e d’altri voce ad essere troppo tuonante perché la società
potesse turarsi gli orecchi e voltarsi. In processi scandalo prima e proteste vocali e intransigenti poi, la
comunità omosessuale maschile ed LGBTQIA+ tutta, vittima sia in dittatura che durante l’attività clinica del
Nostro, fu una delle micce esplosive che permisero di pronunciare con chiarezza la domanda di Basaglia. Il
Caso Braibanti, che vide devastata la psiche d’un innocente, giovane innamorato, Giovanni Sanfratello, la vita
di Mario Mieli ed il suo interesse per l’Antipsichiatria, sono l’evidenza di come sia possibile che proprio un
semplice quesito riesca a creare un effetto domino rivoluzionario. Lotta di classe e queer, antifascismo,
femminismo, furono parte integrante dell’abbattimento del Manicomio come concetto e quindi come
istituzione.
Con coscienza e spirito rivoluzionario
Perciò, oggi, ricordare Basaglia, vuol dire per lɜ GC studiare un rivoluzionario, impararne la lotta ed i mezzi
con cui la vinse, anche se per poco.
Sappiamo bene che le conquiste della 180 sono largamente insidiate da criminali postille, tagli di fondi, leggi
reazionarie e disinteresse generale. Lo spirito che anima realtà come la Brigata Basaglia, Medicina
Democratica, i movimenti tutti per il diritto alla salute, sono disciolti nel silenzio totale del parlamento, dei
media e del’elettorato. Per questo siamo attivamente solidali e complici nella loro lotta e partecipi di tutti i
momenti d’agitazione: il futuro G7 della Salute di Ancona, i comitati territoriali per il diritto alla salute, le
piazze ed il referendum contro l’Autonomia Differenziata di Calderoli e Meloni. La nostra lotta, nel nome di
Basaglia è ancora quella per una riforma che immagina l’umanità al centro, al posto dei costrutti bigotti e
reazionari. Sino ad allora: non firmiamo.