Nel 2024 ci troviamo a dover parlare di accesso all’acqua. Oggi dobbiamo occuparci delle conseguenze della crisi climatica in atto da decenni e dobbiamo incominciare ad accettare il fatto che un bene che abbiamo da sempre immaginato illimitato oggi non lo è più e che è anche quotato in borsa.
La drammatica notizia della riduzione della capacità idrica della diga di Occhito rappresenta l’ennesima prova del fallimento delle politiche economiche e ambientali di un sistema che continua a sfruttare il territorio senza alcun riguardo per il suo equilibrio naturale e il benessere delle comunità locali. La diga con sempre più difficoltà è in grado di soddisfare le esigenze irrigue della provincia di Foggia, mettendo a rischio la produzione agricola e l’intera economia rurale della nostra terra. Ogni giorno, l’invaso si prosciuga di circa 1.700.000 metri cubi d’acqua, e le prospettive per il futuro si fanno sempre più fosche. Questa emergenza idrica non è semplicemente un problema contingente; è il risultato di anni di cattiva gestione delle risorse naturali, di sfruttamento indiscriminato del suolo e di politiche neoliberiste che hanno messo il profitto delle grandi aziende agricole e industriali al di sopra del diritto delle persone a vivere in un ambiente sano e sostenibile. Basti pensare al nostro Paese, che si è dimostrato a due facce diametralmente opposte.
Da una parte un nord molto spesso, in particolare a inizio estate, vittima di violentissime precipitazioni che hanno distrutto numerose abitazioni, infrastrutture e imprese, impedendo in alcuni casi ai giovani di andare a scuola e, in generale, causando vari disagi. E dall’altra un sud violentemente attaccato dalla siccità, che ha portato alla riduzione dell’acqua disponibile, al prosciugamento di fiumi e laghi, nonché alla distruzione di grandi quantità di colture. Il tutto si inserisce in un momento non facile per le famiglie, già stremate dal carovita, che a causa di ciò potrebbero vedersi ulteriormente aumentare le spese per l’acquisto di beni alimentari fondamentali come olio, frutta e verdura. La produzione agricola intensiva, promossa dalle politiche neoliberiste incominciate negli anni settanta e oggi massificate, ha portato alla trasformazione definitiva del territorio foggiano: la creazione di un modello monocolturale, estrattivo che vede nel mercato del pomodoro e del grano duro fonte di capitale. In tutto questo il nostro Governo si preoccupa di punire con multe e reclusioni chi protesta in modo pacifico per il clima, senza dare segni di cambiamento, e così, mentre Copernicus dichiara l’agosto di quest’anno come il più caldo della storia, Giorgia Meloni e il suo collega Matteo Salvini si occupano di reprimere le voci contrarie, di limitare gli scioperi e di alzare il dito contro le opposizioni Ovviamente non è nel loro interesse andare contro i desideri di coloro che più ostacolano la transizione ecologica, come le imprese petrolifere, burattini di un sistema che pensa solo all’incremento dei profitti e dei grandi capitali.
La questione ecologica riguarda il sstema economico e non possiamo trattarla diversamente. Come forza politica di sinistra radicale, ambientalista e meridionalista, denunciamo con forza le responsabilità politiche che hanno portato a questa situazione. La crisi idrica in Capitanata è la manifestazione di una visione del Sud come terra da saccheggiare, una riserva di risorse da sfruttare fino all’ultima goccia. È il frutto di una gestione centralizzata e miope, che ignora le esigenze dei territori e delle comunità, in nome di interessi economici che nulla hanno a che vedere con il bene comune. La crisi della diga di Occhito è un monito per tutti noi: non possiamo più permetterci di trattare l’acqua come una merce, né di continuare a sfruttare il territorio come se fosse una risorsa inesauribile. Dobbiamo ripensare radicalmente il nostro modello di sviluppo e costruire un futuro in cui il rispetto per la natura e per i diritti delle persone siano al centro delle scelte politiche ed economiche.
È il momento di unirsi e lottare per un Sud che non sia più la periferia saccheggiata di un sistema economico ingiusto e un’Italia di cui territorio non sia solo asservito al mero scopo produttivo e industriale.